La scelta di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, ricompatta almeno formalmente il mondo islamico. Ma chi ne può uscire come vero vincitore è il leader più controverso e interessante degli ultimi anni in quella regione: Recep Erdogan. Il presidente turco, sempre più in linea con una visione neo-ottomana e autocratica del potere, ha convertito la Turchia in un Paese molto legato alla propria tradizione religiosa, modificando in radice la percezione che il mondo aveva della società turca quale avamposto del laicismo in Medio Oriente. In questa scelta c’è una visione politica e strategica molto chiara che diventa anche un pilastro della politica estera. Erdogan non è un santo, né un predicatore, ma un astuto calcolatore. E sa perfettamente che per imporsi come leader mediorientale, una volta abbandonato l’obiettivo di entrare in Europa, l’unico modo è presentarsi come capo di uno Stato forte e allo steso tempo ancorato alla religione islamica.

In questo piano di Erdogan di ergersi come guida credibile del mondo musulmano, il presidente degli Stati Uniti, con l’ultimo gesto nei confronti di Gerusalemme, ha fornito un supporto incredibile e forse inconsapevole. Il sultano è da tempo impegnato nel farsi riconoscere quale unico leader politico mediorientale a sostenere la causa palestinese. E negli ultimi anni ha anche avuto accesi scontro in Israele, che considera una potenza avversaria nell’allargamento della sfera d’influenza. Appena ricevuta la notizia della decisione del presidente Usa, Erdogan ha immediatamente condannato con parole molto dure la presa di posizione Usa e israeliana. “Gerusalemme è la linea rossa per tutti i musulmani”, è stata l’affermazione del presidente turco, citato dal giornale filogovernativo turco Sabah. Erdogan ha poi avvertito il governo di Tel Aviv che un eventuale riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte del presidente degli Stati Uniti potrebbe portare alla fine delle relazioni diplomatiche tra la Turchia e lo Stato ebraico. “Potremmo spingerci fino alla rottura dei rapporti diplomatici con Israele” ha sentenziato Erdogan. Parole che hanno ricevuto la netta risposta di Netanyahu il quale ha ricordato al presidente turco che l’Impero ottomano è finito da molti anni.

Il presidente turco ha poi colto immediatamente l’occasione per intraprendere colloqui telefonici con tutti i leader mediorientali, a partire dal presidente Rohani, con cui ha intessuto dalla guerra in Siria rapporti sempre più stretti tanto da fare blocco comune nel quadro degli accordi di Astana e nel vertice di Sochi. Erdogan ha poi telefonato al presidente tunisino, Beji Caid Essebsi, e al premier della Malaysia, Najib Razak, quasi a voler confermare il ruolo mondiale e trasversale dell’islam quale religione che collega il continente asiatico e quello mediorientale.

Nella giornata di ieri, il presidente turco ha poi ricevuto il re di Giordania, Abdullah II. Il monarca giordano non è mai stato uno dei più accaniti avversari di Israele e la guerra in Siria ha fatto sì che Amman e Tel Aviv giocassero dalla stessa parte, sostenendo la coalizione internazionale. L’incontro con Erdogan doveva evidentemente avere in cima all’agenda la questione siriana oltre che i rapporti bilaterali, ma la scelta di Trump ha cambiato radicalmente l’ordine del giorno imponendosi come questione principale. Abdullah aveva già avvertito Trump degli enormi rischi che avrebbe corso spostando l’ambasciata a Gerusalemme, e aveva ricordato il sostegno della corte hascemita ai diritti storici del popolo palestinese. Nella conferenza congiunta con il leader giordano, Erdogan ha sottolineato di nuovo il superamento della “linea rossa” per il mondo musulmano con questa decisione unilaterale americana. E subito dopo è arrivato l’annuncio del portavoce della presidenza turca, Ibrahim Kalin, della decisione di Recep Tayyip Erdogan di organizzare per il 13 dicembre a Istanbul un summit dei leader dei principali Paesi musulmani. A detta del portavoce turco, si tratta di “una riunione straordinaria dell’Organizzazione della cooperazione islamica per permettere ai paesi islamici di agire in modo coordinato e unitario di fronte a questi nuovi sviluppi”. Un’immagine abbastanza eloquente di quale sia la volontà di Erdogan in questo preciso momento storico: sfruttare l’apertura del vaso di Pandora da parte di The Donald per incunearsi nella corsa alla leadership mediorientale.

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