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Donald Trump ed Angela Merkel, due opposte visioni del mondo. Da una parte il nazionalismo del Presidente degli Stati Uniti d’America, che immagina un mondo fatto di nazioni sovrane che non rinunciano però all’egemonia statunitense; dall’altra la Cancelliera tedesca, espressione dell’agenda liberal nel cuore del continente europeo. La sfida fra i due, che riflette naturalmente uno scontro non solo dialettico ma geopolitico fra Washington e Berlino, si è rinnovata in questi giorni con la cerimonia solenne all’Harvard University per la consegna del dottorato honoris causa in Giurisprudenza alla Cancelleria. Il rettore Larry Bacow ha elogiato Angela Merkel  per la sua “politica delle porte aperte” nei confronti dei migranti, ricordando la sua ormai celebre uscita quando, al culmine della crisi dei profughi siriani del 2015, disse: “Wir schaffen das!” (noi ce la facciamo).

Il discorso della Cancelleria è stato un attacco nemmeno troppo velato nei confronti del tycoon e della sua amministrazione. Ha parlato di muri e cambiamenti climatici. Ha menzionato la violenza armata e il multilateralismo. Ha fatto riferimento al libero scambio e al globalismo. E ha condannato il nazionalismo e l’isolazionismo. La stampa liberale l’ha apertamente elogiata, dal Boston Globe passando per il New York Times e Politico. “Merkel condanna la visione del mondo di Trump senza nominarlo” scrive per esempio il Nyt. “Il protezionismo e i conflitti commerciali”, ha ricordato Angela Merkel, “mettono a repentaglio il libero commercio internazionale, quindi le fondamenta stesse della nostra prosperità”. Se parla della prosperità tedesca, nota il giornale conservatore New Boston Post, allora ha certamente ragione.

La Germania, infatti, registra abitualmente surplus commerciali considerevoli con gli Stati Uniti e ha registrato il più grande surplus commerciale del mondo per tre anni consecutivi. “Una grossa parte di queste eccedenze – scrive il giornale filo-repubblicano – viene estratta direttamente dal deficit commerciale americano. Forse la verità è: la prosperità per la Germania non è necessariamente la cosa migliore per i lavoratori americani”.

Donald Trump mette nel mirino la Germania

Su Le Monde diplomatique, il sociologo tedesco Wolfgang Streeck ha spiegato il ruolo della Germania nell’Unione europea: “Che cos’è l’Unione europea? Il concetto più vicino che viene in mente è quello di un impero liberale, o meglio, neoliberale: un blocco strutturato gerarchicamente e formato da Stati nominalmente sovrani la cui stabilità si mantiene grazie a una distribuzione del potere dal centro verso la periferia” scrive Streeck. “Al centro si trova una Germania che cerca, più o meno, con successo, di dissimularsi all’interno del nocciolo duro dell’Europa (Kernereuropa) che forma con la Francia”.

Gli Stati Uniti mal sopportano il surplus commerciale di Berlino e il fatto che in Europa ci sia una potenza egemone in grado di dettare legge su tutto il Continente. Inoltre, la Cina risulta – in termini di entità dell’interscambio – il primo partner commerciale della Germania nel 2017 (186,9 miliardi di euro), seguita da Paesi Bassi (176,9 miliardi), Stati Uniti (172,6 miliardi), Francia (169,4 miliardi) e Regno Unito (121,6 miliardi).

La verità è che, come scrisse Federico Rampini su Repubblica, Obama era più gentile nei modi ma la sostanza del suo pensiero era la stessa. Barack Obama, infatti, criticò il surplus tedesco come sta facendo in questi anni il Presidente Donald Trump. Il compianto “europeista” Obama puntò l’indice accusatore contro la Germania fin dal 2009, il primo anno della sua presidenza. Nel 2013, il governo americano per la prima volta attacca esplicitamente e pubblicamente la Germania, accusando le sue politiche economiche di essere responsabili della debolezza dell’Eurozona. Berlino punterebbe troppo sull’export e non sulla domanda interna, come illustrò il rapporto semestrale del Tesoro statunitense sulla manipolazione delle valute.

Uno squilibrio commerciale che Trump sta combattendo ancor più duramente del suo predecessore. Come nota l’Huffpost, per capire qual è il vero obiettivo dei dazi commerciali che vengono applicati dall’amministrazione Trump a partire dal 1°giugno su acciaio e alluminio di provenienza Ue basta guardare la classifica degli esportatori europei oltre Atlantico: con le 950mila tonnellate di acciaio esportate nel 2017 è la Germania di Angela Merkel a dominare il mercato dell’export di prodotti finiti e semi-finiti. Dietro, ben distaccata, c’è l’Olanda con 630mila tonnellate e terza la Francia con le sue 237mila tonnellate; solo quinta l’Italia (212mila). È chiaro a questo punto che il bersaglio di Trump è Berlino.

Trump contro il surplus tedesco

Non più tardi di qualche settimana fa, il Presidente Donald Trump è tornato a scagliarsi contro l’Unione europea e, in particolare, contro la Berlino. “Hanno barriere commerciali. Non vogliono i nostri prodotti agricoli, non vogliono le nostre macchine. Mandano Mercedes-Benz qui come biscotti” ha affermato durante un discorso riportato dalla Cnbc.  “Mandano le Bmw qui. Difficilmente li tassiamo del tutto”.

In effetti, commenta Michael Ivanovitch, già economista presso la Federal Reserve americana, “gli Stati Uniti hanno una serie di problemi con la Germania. Primo, c’è il surplus commerciale sistematico ed eccessivo di Berlino con gli Stati Uniti. Lo scorso anno, il surplus di 68,3 miliardi di dollari della Germania rappresentava il 40% delle esportazioni nette totali dell’UE in America” sottolinea l’economista. In secondo luogo, prosegue, “le eccedenze commerciali europee medie della Germania, pari a 163 miliardi di euro negli ultimi tre anni, stanno assorbendo una grande quantità di potere d’acquisto e soffocando la crescita economica in un mercato che rappresenta una destinazione per un quarto delle esportazioni americane”.

Per ora, aggiunge, “l’euro è al sicuro. I tedeschi vogliono assicurarsi che rimanga una prospettiva indiscutibile mettendo il loro uomo – l’attuale presidente dell’autorità monetaria tedesca – alla guida della Banca centrale europea come guardiano delle finanze pubbliche tedesche e dei risparmi delle persone”.

Probabilmente con Joe Biden o un democratico alla Casa Bianca nel 2020 i modi potranno essere meno bruschi, ma in nessun caso Washington rinuncerà a limitare il surplus tedesco e lo strapotere economico di Berlino sul Continente europeo. Certo, con l’eventuale riconferma di Donald Trump per la Germania sarà ancora più dura, perché lo scontro è anche profondamente ideologico.

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