In Germania la parola “inflazione” evoca timori irrazionali. Alla mente dei cittadini della Repubblica Federale arriva immediatamente l’immagine dei terribili giorni del 1923, quando l’iperinflazione sommerse la neonata Repubblica di Weimar, costretta a dibattersi tra una situazione politica insostenibile e la necessità di dover pagare debiti bellici insostenibili e precipitata in un vortice di caos e instabilità dal tracollo della sua moneta. Un chilo di pane arrivò a costare, al culmine della crisi, 400 miliardi di marchi.
Il campo politico-economico in ascesa dagli anni Settanta e Ottanta, favorevole all’indipendenza delle banche centrali dai poteri politici e alla subordinazione della politica fiscale a quella monetaria, ebbe gioco facile nel presentare l’iperinflazione del 1923 come una diretta causa dell’ascesa del nazismo al potere nel decennio successivo, ipotesi smentita da recenti studi che l’hanno invece assimilata alle politiche di austerità seguite alla Grande Depressione, e a trasformare il controllo dei prezzi in un totem del sistema ordoliberalista che governa l’economia tedesca, poi ampliato all’intera area comunitaria dopo l’introduzione dell’euro.
Per la Germania, la stessa parola “inflazione” è dunque tabù. Ciò ha causato effetti distorsivi in sede comunitaria, come dimostrato in occasione della risposta a lungo fallimentare alle crisi dei debiti sovrani, ispirate a politiche di contenimento fallaci perché non guidate dal necessario tasso di espansione monetaria. Lo stesso quantitative easing, che contribuendo alla riduzione del valore dell’euro rispetto alle altre divise mondiali ha indirettamente favorito l’esorbitante surplus commerciale tedesco, è stato visto come fumo negli occhi da Berlino, timorosa dei pur modesti obiettivi di Mario Draghi e della Bce, favorevoli a un innalzamento dell’inflazione al 2%.
Un fardello emotivo e storico tanto importante spiega perché, nelle ultime settimane, in Germania la notizia di matrice interna più chiacchierata sia stata proprio quella della crescita di questo indicatore sopra la fatidica soglia indicata da Draghi nel 2015.
L’inflazione in Germania sopra il 2% dopo diversi anni
Überraschandes Comeback der Inflation in Deutschland, intitola Die Welt. Un ritorno sorprendente, inatteso, dell’inflazione. Come segnala Teleborsa, “secondo l’ufficio statistico Destatis, i prezzi al consumo sono cresciuti dello 0,4% su base mensile, come stimato dagli analisti, come anticipato dalla lettura preliminare fornita lo scorso mese. Il dato si mostra in crescita rispetto al mese precedente, quando la crescita era stata dello 0,1%. Su base annua la crescita registra una salita del +2,3% come indicato nella prima lettura, mostrandosi in linea con le stime di consensus. Nel mese di agosto la variazione era stata del 2%”.
Una crescita poco più che modesta, si direbbe. Ma non bisogna dimenticare che la storia economica contemporanea della Germania iniziò quando Helmut Kohl, divenuto cancelliere nel 1982, avviò il suo mandato decapitando un’inflazione salita al 5%, di gran lunga inferiore ai livelli a doppia cifra registrati negli anni Settanta in Italia ma insostenibile dal punto di vista politico e mediatico in un Paese con il background della Germania. E così anche un parametro frutto di contingenze sistemiche arriva ad assurgere a elemento di discussione sulle politiche di lungo termine della Bce, sul ruolo della Germania in Europa e sulla possibile influenza di scenari, come quello italiano, che con la materia centrano poco o nulla.
Alimentari ed energia trainano l’inflazione
Ma Draghi e l’Italia non centrano molto. Come segnala Italia Oggi, a trainare la crescita dell’inflazione sono stati soprattutto i costi energetici, “saliti in settembre del 7,7% rispetto all’anno scorso. Soprattutto il costo per il riscaldamento è salito del 30%. Ma anche i generi alimentari sono più cari: del 2,8%, a causa dell’estate troppo calda e della siccità. E salgono anche scarpe e vestiario, in media del 7%. Poco conta che stipendi e salari siano cresciuti in genere più dell’inflazione”.
Cause ben identificabili e limitabili nello spazio e nel tempo, dunque. Ma in Germania tutto diventa improvviso, indecifrabile e potenzialmente pericoloso quando si agita lo spauracchio dell’inflazione. Anatema che esorcizza tutta la razionalità e l’efficienza di un sistema che si è costituito egemone in Europa. Facendo sì che altri Paesi pagassero, per primi, i frutti dell’irrazionalità germanica.