Il ritorno dei “falchi” è uno dei grandi interrogativi del presente e del futuro della Germania. La fine del lungo cancellierato di Angela Merkel si è contraddistinta, specialmente nella fase delle trattative sul Recovery Fund, con una stagione di moderazione tedesca rispetto alla sua tradizionale linea dell’austerità. Una scelta dettata non solo da esigenze di natura diplomatica, ma anche concretamente economiche: il mercato europeo, fondamentale per l’economia tedesca, non poteva essere irreggimentato in una fase di contrazione sistemica rischiando che i clienti dell’industria di Berlino arrancassero al punto da coinvolgere anche la stessa Germania. La scelta di evitare di irrigidirsi sulle regole più ferree dei vincoli di bilancio europeo serviva dunque a un duplice scopo, economico e politico. Perché è chiaro che evitare la rottura con i Paesi mediterranei aveva anche l’effetto di non ledere troppo la leadership tedesca facendola risultare troppo legata ai cosiddetti “frugali” del Nord Europa, anima più dura e pura dei sostenitori dell’austerity cara a una larga parte della classe dirigente tedesca.
L’ascesa di Olaf Scholz a guida della Germania è coincisa però con un cambiamento sistemico dell’intera Europa. La perdita di leadership da parte di Berlino, orfana di una figura così importante, per quanto non priva di ombre, come Merkel, ha portato a una sorta di vuoto di potere che si credeva potesse essere colmato da Emmanuel Macron e da Mario Draghi. Cosa che non sembra essere avvenuta. Dall’altro lato, l’economia del continente è in balia di una spirale di crisi che unisce gli effetti della pandemia di Covid-19 a quelli della guerra in Ucraina, con la crisi energetica e l’embargo voluto dall’Unione europea nei confronti della Russia.
In tutto questo, l’economia della Germania, potenza industriale e commerciale europea, rallenta pericolosamente, con un aumento dei prezzi dell’energia che fa temere per il prossimo futuro di famiglie e imprese. Un complesso sistema di crisi a cui molti segmenti della politica, dell’industria e della finanza tedesche potrebbero rispondere con ricette che non sono affatto rivolte a una maggiore allargamento delle maglie economico-finanziarie, ma anzi a un rinnovato spirito di austerity e di rispetto delle regole di bilancio. L’allarme è stato lanciato di recente anche su Domani da Francesco Saraceno ha parlato di Germania come “malato d’Europa”, ribadendo il timore di un ritorno della classe dirigente tedesca ai dettami della finanza più austera, quella che ebbe come interprete Wolfgang Schäuble, proprio per la paura della crisi che ha investito non solo il Paese, ma l’intero continente.
La coalizione che guida Berlino non sembra del resto immune a questo tipo di politiche. I Verdi non sono stati in grado di modificare i parametri di riferimento del sistema tedesco. Scholz, ministro della Finanze dell’ultimo governo Merkel, appare preoccupato per le conseguenze della crisi energetica e internazionale e le prime misure appaiono ricadere soprattutto sui cittadini. Christian Lindner, ministro federale delle finanze della Germania e soprattutto leader del Partito Liberale Democratico, ha già fatto capire (lo ha ribadito anche in un’intervista al Corriere della Sera) di non essere intenzionato a allentare i vincoli di bilancio e di non voler perorare troppa flessibilità sul fronte delle finanze pubbliche per l’area euro.
Come riportato da Ansa, Lindner, intervistato dal quotidiano tedesco Handelsblatt, ha detto di sostenere regole sul debito pubblico “più vincolanti, ma in modo realistico” e di ammettere solo una rinuncia “alla regola che impone ai Paesi di ridurre il loro debito in eccesso di un ventesimo all’anno”. Non c’è spazio, ha detto però il ministro delle Finanze, a una modifica di quelle che definisce le “pietre miliari” del trattato di Maastricht, cioè il limite al 3% del deficit annuo e “al 60% il tetto del rapporto debito/Pil”. Al quotidiano di via Solferino, invece, Lindner, a precisa domanda sulla possibilità di sospendere le regole di bilancio oltre il 2022, ha risposto che la clausola di sospensione delle regole di bilancio, per quanto apprezzata per avere un fondamento esclusivo sui dati, è opportuno che “finisca il prima possibile”. Tesi ribadite anche dal consigliere di Lindner, Lars Feld, che a Repubblica aveva lanciato l’allarme sulla caduta del governo Draghi manifestando l’ipotesi di un irrigidimento delle regole e delle discussioni in caso di vittoria di un governo ritenuto “populista”.