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Dopo un anno e mezzo di corsa sostenuta, la borsa americana ha frenato negli ultimi mesi: nel trimestre appena trascorso, Facebook, Apple, Netflix e Google hanno registrato perdite comprese tra il 15 e il 25% della loro quotazione, in una fase in cui l’economia a stelle e strisce corre ma, al tempo stesso, regnano le incertezze a causa dei contrasti tra l’amministrazione Trump e la Fed, dell’innalzamento dei tassi d’interesse e delle tensioni commerciali con la Cina.

A destare particolari preoccupazioni tuttavia, è un’azienda storicamente considerata l’emblema dell’American way of business, General Electric, grande conglomerato industriale con “divisioni che spaziano dall’aviazione all’ energia, passando per i servizi finanziari e le apparecchiature biomedicali senza dimenticare il gioiello delle turbine a gas prodotte dalla controllata Nuovo Pignone acquisita nei primi Anni Novanta”, ha scritto su La Verità Fabio Dragoni, ripreso da StartMag.

La tempesta finanziaria su General Electric

Il titolo di General Electric è stato di recente declassato da Standard&Poor’s a un livello di rating di Bbb+, ma paga interessi degni di un titolo spazzatura. ” I suoi bilanci”, continua Dragoni, “non sono quelli di un’azienda decotta come del resto però quasi mai lo sembrano quelli delle imprese prossime a gettare la spugna. I bilanci si fanno sulla base del principio della competenza economica. I fallimenti sempre per cassa, insegna il professor Valerio Malvezzi. Ge condivide certo con il meglio del made in Usa pesanti ribassi nei prezzi delle proprie azioni […] General Electric veleggia intorno ai 7,80 dollari. Valori che toccava soltanto negli anni Novanta e pericolosamente non troppo lontani dal minimo storico di 6,66 dollari del 2009 nel pieno della bufera finanziaria”.

Il debito della compagnia è oramai pari al livello di fatturato, 120 miliardi di dollari, e potrebbe rappresentare un pericoloso detonatore in caso di continua insostenibilità, come sembra presagire il fatto che almeno 16 di questi miliardi potrebbero trasformarsi in insolvenze. General Electric maneggia asset per 360 miliardi di dollari, e dopo essere stata esclusa dal mercato dei commercial papaers non garantiti nella giornata del 31 ottobre, ha avviato una pericolosa operazione di rifinanziamento di matrice bancaria.

Le banche sempre più esposte verso General Electric

A garantire un periodo di respiro a Ge nell’immediato futurodovrebbe essere l’esistenza di una linea di credito aperta nei suoi confronti da numerosi istituti bancari per un valore complessivo di 41 miliardi di dollari, da cui la società di Boston ha attinto per ora solo 2 miliardi.

Tuttavia, i derivati sulla sostenibilità del titolo di Ge (credit default swap) stanno raggiungendo rendimenti senza precedenti dai tempi del crac di Lehmann Brothers nel 2008. Nei mercati esistono numerosi dubbi circa la sostenibilità dei crediti erogati dalle banche verso General Electric, la cui componente più pulviscolare è rappresentata da 20 miliardi di dollari erogati da 36 diversi istituti con scadenza 2021, a cui se ne contrappone una ben più compatta che vede una cifra analoga messa a disposizione da sei colossi di Wall Street: Goldman Sachs, Citigroup, Bank of America, Jp Morgan, Morgan Stanley, Bnp Paribas.

Il nuovo Ceo di General Electric, Lawrence Culp, intende mettere in atto una vendita massiccia di azioni sul mercato per coprire le emorragie legate, nel lungo periodo, alla restituzione dei prestiti. Ma tali misure appaiono solo come tappabuchi volti a coprire numerose falle nello scafo di una nave priva di compartimenti stagni. In cui l’inondazione rischia di propagarsi in maniera epidemica.

Dal debito aziendale la prossima crisi?

Il legame tra debiti aziendali, esposizioni bancarie e turbolenze finanziarie rischia infatti di saldarsi in un circolo vizioso, producendo un pericoloso effetto domino. I segnali dall’economia internazionale lasciano presagire che il rischio di una nuova fase di sofferenza paragonabile a quella del 2008-2009 è tutt’altro che scongiurata e in questo caso proprio i debiti corporate fungerebbero da detonatori, in maniera analoga ai mutui subprime nell’ultima grande crisi.

Dai picchi del 2008 questo indebitamento è lievitato del 40%, di oltre 2.500 miliardi di dollari negli Stati Uniti, pari a una percentuale record del 45% del Pil. E ad esso è associata una massa oceanica di derivati: la lezione della storia finanziaria non ha avuto ascoltatori interessati, e un decennio è andato perduto nel tentativo di correggere le distorsioni che hanno portato al collasso di Lehmann Brothers e all’ultima crisi.

Casi come General Electric fungono da campanelli d’allarme: banche e autorità di regolamentazione sono avvertite. Ge cerca di correggere i propri bilanci azionistici e punta a sviluppare piani di riorganizzazione aziendale per  stabilizzare il business e scongiurare terremoti, ma l’incertezza regna sovrana. E l’economia reale, come sempre, rischia di venire travolta da dissesti di dimensioni enormi, che solo la finanza è in grado di causare.

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