Il gas naturale sta acquisendo sempre più rilevanza strategica sul palcoscenico internazionale. Il nostro Paese si muove bene grazie alle doti dell’Eni che a largo delle coste egiziane ha scoperto due giacimenti estremamente importanti come quello di Zohr e quello di Nour. Mentre l’Italia stringe legami con Egitto, Cipro, Grecia, Creta e Israele sulla spinta del progetto per il gasdotto EastMed – nominato nel 2015 Project of common interest dall’Unione europea – la Turchia di Erdogan guarda con stizzita attenzione ai movimenti nel Mediterraneo orientale. Si ricordi il caso Saipem 12000, la nave noleggiata da Eni per svolgere attività di esplorazione nel blocco 3 della Zee cipriota, tenuta ferma per quasi un mese dalla marina turca che, infine, ha costretto l’imbarcazione a riparare in Nord Africa.

Allargando l’obiettivo si può comprendere come questa risorsa sia candidata a giocare un ruolo di primo piano nelle dinamiche internazionali. Dal dibattito Tap e NordStream2, al fracking statunitense e i primi carichi di gas naturale liquefatto in Europa per tentare di mettere freno al (quasi) monopolio detenuto dalla Russia di Vladimir Putin, principale esportatore di gas nel Vecchio Continente. Anche i paesi del Golfo non stanno con le mani in mano. Già con l’annuncio della Vision 2030 lanciata dal principe ereditario Mohammad bin Salman, Riad ha confermato la volontà di diversificare l’economia del regno e quindi la sua produzione energetica. L’oro nero ha dato tanto alla famiglia dei Saud, ma hanno ormai capito come il petrolio perderà importanza col passare dei decenni. Durante la transizione energetica – uno dei punti cardine della nostra epoca – è l’oro blu che diventerà la risorsa di punta del settore energetico.

Durante il passaggio dagli idrocarburi tradizionali alle energie rinnovabili ci sarà un gap, uno spazio vuoto, di circa 30 anni, forse anche meno. Questo gap va riempito con l’idrocarburo più efficiente e meno inquinante. Scelta che tra gas e carbone ricadrà sul primo, inquinando il 50% in meno del secondo e il 20-30% in meno del petrolio. Un progetto come l’EastMed verrà portato a termine solo se ci sarà una decisione politica dopo una valutazione sui costi, per decidere se alla lunga possa rivelarsi utile per favorire la concorrenza tra gli esportatori nel contesto europeo. Oggi la situazione sta cambiando. È molto più conveniente il gas liquido piuttosto che costruire un gasdotto. Innanzitutto perché c’è più libertà di movimento: il gas liquido può essere deviato verso un Paese piuttosto che verso un altro, dove i prezzi sono più appetibili. In linea generale i contratti di lunga scadenza sono sempre minori: questo perché c’è sempre più abbondanza di gas (e petrolio) sul mercato. Il trade-off è chiaro. C’è la possibilità di aggiudicarsi ottimi prezzi, ma allo stesso tempo questo metodo diminuisce la capacità strategica di approvvigionamento del paese sul lungo termine. I contratti a lungo termine esistono ancora. Si prenda in considerazione il contratto ventennale per la fornitura di gas dal Qatar alla Cina. 

L’incognita rappresentata dalla Turchia non può non essere presa in considerazione. Tenere inutilizzate navi come la Saipem non è solo un danno per l’esplorazione. Sono navi che costano centinaia di migliaia di euro al giorno. Ankara ha storiche rivendicazioni su Cipro e le recenti scoperte di giacimenti a largo delle sue coste hanno risvegliato l’interesse turco per la piccola isola. Se i Paesi interessati nel Mediterraneo orientale e l’Ue stessa decidessero di puntare sul gasdotto EastMed non potrebbero tenere fuori dalle loro considerazioni la Turchia.

Il Qatar è il Paese con le più grandi riserve di gas naturale (quasi per 250 anni) e condivide con l’Iran il più grande giacimento al mondo di gas naturale, di cui possiede i 2/3. È il primo esportatore di gas naturale al mondo, nonostante sia un Paese grande come l’Abruzzo, e conseguentemente il suo consumo interno è molto ridotto. Esportando il 30% del fabbisogno mondiale di gas naturale liquefatto della risorsa che sta acquisendo sempre maggiore rilevanza sul paloscenico internazionale, l’importanza strategica di Doha cresce di conseguenza. Chiunque come lei possiede gas deve competere.

L’Arabia Saudita investe massicciamente nel gnl statunitense. Come raccontato su StartMag, “due dei progetti riportati nella lista di Aramco riguardano la compagnia Tellurian, con sede a Houston, in Louisiana, e Sempra Energy, con sede a San Diego, in Texas. Quest’ultima sta sviluppando tre progetti Gnl negli Stati Uniti e in Messico e punta a diventare uno dei maggiori esportatori di Gnl del Nord America”. Allo stesso tempo il Qatar non vuole rimanere tagliato fuori e ha già stanziato “20 miliardi, di cui 10 miliardi per lo sviluppo – insieme al gigante americano ExxonMobil – dell’impianto per il gas liquefatto Golden Pass a Sabine Pass in Texas, sul golfo del Messico praticamente sul confine con la Louisiana”.