“Abbiamo fatto di tutto per formare un governo ampio e liberale, che servisse tutti quanti, tanto i religiosi quanto i laici, sia gli ebrei che gli arabi”, ma senza successo. A pronunciare queste parole poco prima della mezzanotte di mercoledì 20 novembre è stato Benny Gantz. Leader della colazione Blue&White, il generale approdato nell’ultimo anno in politica ha dovuto gettare la spugna e ammettere la sua sconfitta. Dopo 28 giorni di trattative con gli altri partiti usciti vincitori dalle elezioni di settembre, Gantz ha affermato di non essere in grado di formare un nuovo esecutivo nonostante i suoi numerosi tentativi. A segnare la fine di un Governo mai nato sono stati tanto il premier uscente Benjamin Netanyahu quanto – e soprattutto – l’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman.

La rinuncia di Gantz

La notte del 20 novembre Gantz ha riferito al presidente Reuven Rivlin di non essere riuscito a raggiungere un accordo né con Netanyahu, leader del Likud, né con Lieberman, capo invece di Yisrael Beiteinu. La prima opzione vagliata dal generale era la formazione di un governo con il premier uscente, raggiungendo così con facilità la maggioranza dei seggi nella Knesset (il Parlamento, ndr) ma nonostante l’endorsment del presidente e numerose trattative una simile coalizione non ha mai visto la luce. Ultima opzione rimasta sul tavolo era allora la formazione di un esecutivo ampio, che comprendesse Ysrael Beiteinu, il Partito laburista, l’Unione democratica e che potesse godere del sostegno esterno della Lista araba unita. Un’ipotesi che non ha trovato realizzazione a causa del passo indietro fatto a meno di 24 ore dalla scadenza delle trattative da Lieberman. L’ex ministro, già responsabile della caduta del governo Netanyahu, si era inizialmente detto disposto a dare il suo contributo alla formazione del nuovo esecutivo formato da Likud e Blue&White, ma dopo il fallimento delle trattative tra Gantz e Netanyahu ha ritirato il suo appoggio. “Stando così le cose”, ha spiegato Lieberman, “siamo sulla via per nuove elezioni”. Il leader del partito di estrema destra era disposto a concedere i suoi otto seggi a Gantz e Netanyahu, apponendosi invece a un esecutivo che comprendesse i partiti ultra-ortodossi o arabi.

Scaduti i 28 giorni dati a Gantz per trovare una maggioranza le ipotesi sono solo due: indire nuove elezioni, le terze in un anno; affidare a un possibile premier un nuovo mandato esplorativo per trovare un’alleanza e dare vita finalmente un nuovo governo. Se, dopo un periodo di 21 giorni, anche questo ultimo tentativo dovesse nuovamente fallire, i cittadini di Israele dovranno tornare alle urne entro 90 giorni. Netanyahu mercoledì notte ha affermato di essere pronto a parlare con Gantz per evitare un simile scenario, bollando come “assurde” le critiche mossegli dal generale, che ha accusato l’ex premier di aver anteposto i suoi interessi personali e politici al bene del Paese, facendo fallire le trattative in corso da mesi.

I nodi irrisolti

L’ipotesi più probabile dopo le elezioni di settembre era la nascita di un esecutivo formato da Gantz e Netanyahu, che avevano ottenuto rispettivamente 33 e 32 seggi. Il presidente Rivlin aveva parlato della possibilità per i due leader di alternarsi alla carica di primo ministro, dando la precedenza a Netanyahu che avrebbe preso un periodo di aspettativa in caso di rinvio a giudizio per corruzione. Questa ipotesi, sostenuta dallo stesso ex premier, non ha invece trovato il consenso di Blue&White, che sulla base del maggior numero di seggi pretendeva che il suo leader fosse il primo a ricoprire l’incarico di premier.

Altro punto che aveva allontanato i due possibili alleati e lo stesso Lieberman riguarda invece gli ultra-ortodossi. Netanyahu aveva fatto pressioni perché anche loro fossero inseriti nel nuovo governo, avendo bisogno anche del loro appoggio per proteggersi dalle accuse della magistratura, mentre Gantz si era subito opposto a una simile alleanza. L’obiettivo del generale era creare un esecutivo maggiormente in linea con l’anima secolare della popolazione israeliana. A porre il veto sulla presenza degli ultra-ortodossi era stato anche Lieberman, da sempre contrario alla loro influenza nella società israeliana e soprattutto all’esenzione dalla leva militare di questa particolare fascia della popolazione. Proprio la legge sul servizio militare obbligatorio anche per gli ultra-ortodossi era stata uno dei motivi che aveva spinto l’ex ministro della Difesa a lasciare il governo Netanyahu. Ma Lieberman, come detto, ha posto il suo veto anche a un esecutivo senza il Likud ma che prevedesse l’appoggio indiretto della Lista araba, rifiutando l’idea di un governo sostento da quella che l’ex ministro ha chiamato “quinta colonna”. Allo stato attuale, lo scenario più plausibile sono nuove elezioni, ma niente è dato per scontato.

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