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“Continueremo ad avere discussioni e consultazioni per formare più consenso sulla cooperazione”. Con queste parole il ministro degli Esteri cinesi, Wang Yi, ha fatto sapere che i Paesi del Pacifico meridionale hanno, almeno per il momento, rifiutato di sottoscrivere l’ampio accordo regionale economico e di sicurezza proposto dalla Cina.

Il progetto di Pechino che aveva messo in allarme sia Australia che Stati Uniti è dunque saltato. I contenuti dell’accordo erano trapelati la scorsa settimana, ed erano volti a ottenere un consenso generale con dieci Paesi insulari. Il loro contenuto aveva una copertura molto vasta. Tra i punti toccati, si passava dal libero scambio alla fornitura di aiuti umanitari e anti-Covid, fino alla delineazione – ed è questo il tema che ha fatto scatare vari allarmi – di una visione cinese per un rapporto molto più stretto con il Pacifico meridionale.

Il riferimento riguardava, in particolare, l’ambito della sicurezza. Pare, infatti, che nell’intesa fossero presenti formule inerenti alla formazione delle forze di polizia, la cybersecurity, la mappatura marina sensibile e un maggiore accesso alle risorse naturali. Il “pericolo”, se così poteva essere definito, è tuttavia evaporato come neve al sole.



Perché è saltato l’accordo

Per capire che cosa è successo può essere utile rifarsi alle parole dell’ambasciatore cinese alle Figi, secondo cui, malgrado un “sostegno generale”, l’accordo è stato messo da parte dopo che alcuni Paesi avevano espresso diverse preoccupazioni. Il premier delle Figi, Frank Bainimarama, ha alluso al dissenso emerso durante l’incontro, osservando che il gruppo dei partecipanti puntava a trovare “prima il consenso”.

Il rifiuto dell’accordo, tra l’altro, è maturato nel mezzo di un tour de force diplomatico di Wang nella regione con la visita di otto Paesi in 10 giorni, in un viaggio che gli esperti di sicurezza hanno descritto come una mossa per imprimere una forte impronta all’influenza cinese nella regione contro Usa, Australia e Nuova Zelanda.

Cina e Figi – quest’ultimo Paese nel frattempo ha aderito al piano economico Indo-Pacifico lanciato a Tokyo dal presidente americano Joe Biden per contenere Pechino – hanno tuttavia firmato almeno tre accordi dopo l’incontro, che secondo Wang amplieranno la cooperazione su economia, commercio, agricoltura, pesca, turismo, aviazione civile, istruzione, forze dell’ordine e gestione delle emergenze.

La Cina nel Pacifico

Calendario alla mano, lo stop ai piani di Pechino è arrivato appena dopo un mese dalla firma del controverso accordo bilaterale sulla sicurezza firmato da Isole Salomone e Cina, causando allarme in tutto l’Occidente e motivando visite diplomatiche di alto livello da parte di Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti.

E pensare che il ministro Wang si era dato un gran da fare per visitare praticamente ogni Paese: Salomone, Kiribati, Samoa, Fiji, per poi passare a Tonga, Vanuatu, Papua Nuova Guinea e Timor Est. Magro bottino: la Cina incrementerà la cooperazione con le Isole Tonga sulla prevenzione delle calamità naturali e amplierà le risorse delle forze dell’ordine nazionali con nuove dotazioni.

Certo è che il maxi piano pensato da Pechino resta in alto mare. In vista del futuro, il governo cinese nominerà un inviato speciale per gli Stati insulari del Pacifico e incrementerà la cooperazione in materia di infrastrutture, economia e cambiamento climatico. L’obiettivo è sempre lo stesso: incrementare la propria presenza e influenza in una regione fondamentale per la sfida a distanza con gli Stati Uniti e i suoi alleati locali.

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