Mentre gli occhi dell’Italia sono impegnati a quanto avviene a Malta (e sicuramente con scarsi risultati, come dimostrato dall’accordo siglato nell’isola in queste ore), i nostri interessi nel resto del Mediterraneo non se la passano benissimo. Ed è sul fronte del gas, il vero e proprio nodo che decide il destino del Mediterraneo, che l’esecutivo giallorosso può incagliarsi di fronte alle mosse del suo competitor per eccellenza: la Francia di Emmanuel Macron. Perché mentre i nostri politici sono impegnati sul tema immigrazione e a provare a gestire un flusso che, inevitabilmente, tornerà a colpire l’Italia, dall’altra parte delle Alpi si stanno inserendo in tutti i dossier più importanti del Mediterraneo allargato. dal Nord Africa al Medio Oriente. E dal momento che l’energia che arriva in Europa arriva o dalla Russia o da quelle regione, è del tutto evidente che a Roma non possono dormire sonni tranquilli.
Le ultime notizie che arrivano dal Libano sono esempi perfetti di cosa significhi “dormire” mentre gli altri si attivano. Perché pochi giorni fa, Francia e Libano hanno firmato una lettera d’intenti per l’acquisto di materiale bellico che avrà come obiettivo quello di blindare proprio i giacimenti del gas libanese. Il premier Saad Hariri, incontrando Macron, è stato chiarissimo: si tratta di un “investimento essenziale per il Libano per garantire la sicurezza e l’esplorazione dei nostri giacimenti offshore di petrolio e gas”. Parole nette, come i termini con cui Hariri ha annunciato l’accordo: “La Francia mostra ancora una volta il suo sostegno”. Ed è un sostegno che, in termini economici si traduce in una linea di 400 milioni di euro. Mentre, in termini politici e strategici, vuol dire mettere più di un piede nell’off-shore libanese dove, insieme a Total, c’è proprio l’italiana Eni. Il colosso italiano continua a operare nelle acque del Levante riuscendo a inserirsi nei vari blocchi con cui è diviso il fondale libanese. E la spartizione dei blocchi dell’esplorazione è un simbolo dei rapporti di forza tra potenze partner del Libano: 40% Eni, 40% Total, 20% Novatek. Il che significa, tradotto in termini “nazionali”, 40% all’Italia, 40% alla Francia e 20% alla Russia.
L’Italia in Libano ha più di un interesse da difendere. E avrebbe certamente tutte le armi per blindarli. Non c’è solo Eni a fare da testa di ponte tra Roma e Beirut, anche la nostra tradizionale (e forte presenza militare nell’ambito della missione Unifil consolida una posizione che potrebbe dare a Roma diversi punti di forza. E se si pensa che al comando della delicatissima operazione Onu c’è un italiano, il general Stefano del Col, va da sé che a Palazzo Chigi dovrebbero avere il Libano tra le priorità assolute della propria agenda politica. Un Paese strategicamente fondamentale che rappresenta il punto di equilibrio tra tutti i grandi nodi da sciogliere del Medio Oriente.
Il problema è che questo grande dossier su cui potremmo sicuramente dire la nostra come partner principale, rischiamo di farcelo soffiare da sotto il naso. Macron, con le sue (sacrosante) mosse politiche, ci sta tagliando fuori dai giochi. E tutto fa comprendere che se commettiamo altri errori, la Francia potrà escluderci lentamente dai giochi. Il rapporto tra Macron e Hariri si è fatto sempre più intenso in questi ultimi anni, mentre il Libano, nonostante i rapporti con l’Italia siano ottimi, appare comunque più distaccato rispetto agli anni precedenti. La Francia, inoltre, sta tornando a prendere posizione in tutto il bacino del Levante. La sua marina militare ha spesso operato al largo delle coste siriane, mentre le sue forze speciali sono impegnate nel nord della Siria rappresentando gli interessi strategici di Parigi in tutta la regione.
Nel frattempo, Macron si sta imponendo rispetto a Donald Trump come interlocutore privilegiato di Washington in Europa per quanto concerne il dossier più bollente per la Casa Bianca: l’Iran. Il capo dell’Eliseo sta facendo il possibile per trasformarsi nel grande regista dell’accordo tra Stati Uniti e Repubblica islamica. E in Libano, dove Hezbollah è sempre più forte e rappresenta ormai un potere estremamente consolidato, avere il placet di Teheran vuol dire possedere più di un’arma diplomatica per accreditarsi quale potenze “amica”. La rinnovata amicizia con Trump (che si traduce inevitabilmente nel declassamento di Giuseppe Conte) e la partnership con Vladimir Putin confermata nel vertice francese prima del G-7 sono il segno che Macron ha un potere sempre più grande nello scacchiere che più interessa al nostro Paese. Con forze militari a Cipro e in Siria, con l’alleanza in Libano, l’asse militare con l’Egitto e la partnership strategica con Putin e Trump (e gli storici rapporti con l’Iran), Macron ha tutto per fermare gli interessi italiani. Ma a Roma sembrano essersene dimenticati.