Chi ha tradito Ursula von der Leyen? È questa la domanda che riecheggia nelle stanze di Strasburgo e in quelle dei principali euro-gruppi che hanno votato (a fatica) per la nuova presidente della Commissione europea. Qualcosa non torna nei calcoli fatti in queste ore. La candidata del Partito popolare europeo ha ottenuto 383 voti. Pochi, anzi, pochissimi rispetto ai sogni di gloria dell’ex ministro della Difesa tedesco e della cancelliera Angela Merkel visto che, soltanto sommando i voti di Ppe e Socialisti, la Von der Leyen avrebbe dovuto ottenere 444 “sì” Da 444 a 383 la differenza è netta. E se si pensa che a votare in favore della candidata di Berlino sono stati anche i polacchi del PiS e gli italiani del Movimento Cinque Stelle, è del tutto evidente che il voto segreto abbia scatenato una schiera di franchi tiratori molto eterogenea.

E ora è caccia ai 60 che hanno tradito i patti. L’unico gruppo veramente leale pare sia stato Renew Europe. I suoi 108 deputati hanno votato compatti per la candidata tedesca, segno che il gruppo in cui è presente anche la Republique en Marche di Emmanuel Macron ha confermato di volere la von der Leyen alla guida della presidenza della Commissione europea. Il segnale è chiaro: da parte dell’Eliseo c’è la volontà di mostrarsi apertamente a favore della nuova leadership europea nata proprio come figlia del Trattato di Aquisgrana. L’asse Macron-Merkel regge, nonostante la crisi per entrambi i leader. Quindi non dalla parte francese che è arrivato il “tradimento”: almeno non dalla parte di Macron.

Perché invece è proprio in Francia che potrebbe trovarsi uno dei primi gruppi ad aver sfruttato il sistema dello scrutinio segreto per dare un colpo a Merkel e Macron: i socialisti francesi. Potrebbe, perché ovviamente è impossibile capire chi ha votato contro. Ma di sicuro molti della sinistra d’Oltralpe non hanno apprezzato la decisione di rimuovere il sistema dello Spitzenkandidadt a favore della nomina dall’alto della Von der Leyen. L’affaire Timmermans continua infatti a scuotere il centrosinistra europeo. L’ala più dura del partito si sente tradita. E in generale, lo zoccolo duro francese teme un appiattimento sulle posizioni dell’Eliseo e di Berlino. Il Partito socialista europeo, con il Psoe di Pedro Sanchez a farla da padrone, ha ottenuto due scranni importanti: l’Alto rappresentante per la politica estera (Josep Borrell, spagnolo) e la presidenza del Parlamento europeo (David Sassoli). Nessun francese e soprattutto nessuno realmente apprezzata dall’ala parigina e del resto Sylvie Guillaume, eurodeputata francese e vice-presidente del Parlamento europeo era stata chiara: “La maggioranza del gruppo voterà a favore ma non è una posizione unanime”Ma i francesi non sono gli unici “attenzionati” dai vertici del Partito. I socialisti di Austria, Belgio e Grecia sembrano essere rimasti molto scontenti della preferenza verso il ministro della Difesa tedesco, colpevole di essere di fatto al’opposizione rispetto alla loro idea di Europa ma anche ai rispettivi esecutivi.

Diverso invece il caso dei tedeschi dello Spd. Per il partito alleato della Merkel il problema è stato duplice. Da un lato, hanno ovviamente digerito in maniera pessima la decisione di un ministro della Cdu alla guida della Commissione europea e la bocciatura del “loro” Frans Timmermans. Ma dall’altro lato, è pur sempre un tedesco a guidare la Commissione europea e, di fatto, l’Unione. Quindi c’è il rischio che, come riportano alcuni osservatori, sia stata proprio la sinistra tedesca a salvare Frau Ursula con un voto trasversale “nazionale”. Un patto Linke, Verdi e Spd che ha così colmato invece le divergenze fra i diversi partiti all’interno degli eurogruppi e che ha confermato la presenza di blocchi politici di livello nazionale. In Germania, insomma, tutti hanno sostenuto la loro candidata tranne Alternative fur Deutschland, che, con il gruppo Identity & Democracy, ha confermato di aver votato contro.

Ma i franchi tiratori, o meglio, i “traditori”, sono stati anche altrove. Sicuramente a destra i Conservatori si sono spaccati con un voto da parte dei polacchi che ha fatto capire in prima istanza che quello europeo non è un parlamento profondamente ideologizzato quanto appiattito sugli interessi dei singoli governi e dei Paesi. Il governo dio Varsavia non può avere una Germania nemica. Ha già il problema strategico del fronte orientale, con i timori verso Mosca. Pensare di poter andare anche allo scontro con Berlino è impossibile. E dall’altro lato, al governo conservatore polacco interessa avere le spalle coperte e un commissario utile alla causa. Con il Gruppo Visegrad che si è nuovamente compattato nonostante la presenza trasversale nei popolari e nei conservatori. La strategia, anche in questo caso, è stata di matrice nazionale: l’ideologia è rimasta all’opposizione. E l’establishment europeo si è salvato.





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