L’Europa è a pezzi e difficilmente potrà uscire da una crisi strutturale che sembra essere irreversibile. Non è la tesi di un qualunque organo di stampa “sovranista” o euroscettico ma di Foreign Affairs, l’autorevole rivista statunitense dedicata alle relazioni internazionali pubblicata dal Council on Foreign Relations. È un’analisi a tinte foschissime per il futuro dell’eurozona quella descritta da Helen Thompson, professoressa di economia politica presso l’università di Cambridge. 

Il problema per l’eurozona nasce nel 1999 con la “creazione di un’unione monetaria senza un’unione politica e fiscale di accompagnamento”. Successivamente, osserva Thompson, “a partire dal 2011, la crisi del debito sovrano della zona euro ha trasformato quella che era una questione reale ma gestibile in una situazione dalla quale l’Ue non ha scampo. Bloccata in un un’unione monetaria impraticabile, l’Ue non può accogliere la democrazia dei suoi stati membri né sopprimerla” del tutto. Il risultato, secondo la rivista, sarà la prosecuzione di ciò che è accaduto nell’ultimo decennio: una crisi dopo l’altra senza arrivare a una soluzione duratura.

Il grande malato d’Europa

Secondo Foreign Affairs, lo scontro tra il governo italiano e la Commissione Europea sulla manovra economica è la dimostrazione dell’incapacità dell’Ue di rispettare la sovranità e il voto democratico dei suoi stati membri. “Entrambi i partiti della coalizione al governo – osserva Helen Thompson – hanno fatto promesse fiscali e di spesa durante le elezioni. Ma non possono rispettarle, dal momento che fare ciò significherebbe un deficit maggiore”. Ciò, prosegue, “spezzerebbe gli impegni presi dal precedente governo nei confronti della Commissione europea e le regole fiscali contenute nei trattati che hanno istituito la zona euro. L’Italia dipende in gran parte dalla Banca Centrale Europea (Bce) per finanziare il suo debito, quindi non può semplicemente sfidare l’Ue”.

“Gli elettori non accetteranno altri diktat europei”

Per la rivista americana, tuttavia, “la maggioranza degli elettori non accetterà il controllo europeo sulla politica italiana”. Infatti, è proprio dal 2011, “quando la Bce e il cancelliere tedesco Angela Merkel spinsero il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a silurare il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e a nominare un governo tecnocratico che è iniziata l’ascesa del Movimento Cinque Stelle”. Il problema dell’Europa, osserva sempre Helen Thompson, è che nonostante gli evidenti difetti strutturali dell’euro, “i suoi stati membri non riescono a mettersi d’accordo su cosa vi sia di sbagliato, per non parlare di come risolvere i problemi. Al di là di alcune questioni tecniche sull’unione bancaria, rimodellare l’euro, infatti, è una questione politica”.

Il problema principale è che all’interno dell’eurozona ci sono Paesi con visioni divergenti e contrastanti, che difficilmente faranno dei passi indietro al fine di trovare un compromesso. Per esempio, all’inizio di quest’anno, è nata la New Hanseatic League, che comprende Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania e Paesi Bassi (oltre a Danimarca e Svezia). Paesi che pretendono controlli più severi sui bilanci nazionali, che limiterebbero i paesi dell’Europa meridionale a cominciare dall’Italia e dalla Francia. Parigi ha reagito a questa nuova alleanza cercando di rinsaldare l’asse franco-tedesca.

Così l’Europa non funziona

Foreign Affairs prende di mira le politiche di austerità adottate dall’Unione europea per fronteggiare la crisi e la concentrazione di potere che la Germania ha accumulato nell’ultimo decennio. Una volta che la crisi dell’eurozona è iniziata nel 2011, spiega, “il destino economico di gran parte della zona euro si è discostato da quello del Regno Unito grazie alle differenze di politica monetaria tra la Bce e la Banca d’Inghilterra”.

L’approccio conservatore della Bce, infatti, “ha spinto l’eurozona in recessione, mentre la Banca d’Inghilterra ha aiutato l’economia britannica a consolidare la sua ripresa dalla crisi finanziaria”. Questo ha prodotto un aumento della disoccupazione sul continente europea e un’immigrazione verso il Regno Unito, che ha poi determinato il risultato del referendum sulla Brexit del 2016. 

L’Unione europea, dunque è in trappola, secondo Foreign Affairs. Non può rispondere alle esigenze democratiche dei suoi stati membri perché le sue regole vengono applicate “indipendentemente dagli elettori”. E questi ultimi, d’altro canto, si aspettano che i propri rappresentanti abbiano l’ultima parola sui burocrati dell’unione Europa. Una contraddizione devastante che, secondo Foreign Affairs, potrebbe porterà alla fine dell’eurozona.

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