La sfida alla Russia ha ben pochi oppositori all’interno dei circoli atlantici e statunitensi. Ma sulla guerra in Ucraina, gli analisti, in particolare in Usa, iniziano a interrogarsi quantomeno su due temi: la qualità di questo sostegno e il suo arco temporale. Molti continuano a sostenere la linea “dura”: dare il maggiore aiuto possibile a Kiev in modo da sconfiggere qualsiasi tipo di offensiva russa e riportare le truppe di Mosca ai confini da cui è iniziata l’invasione. Su Foreign Affairs, ad esempio, qualcuno parla dell’ipotesi del cosiddetto “big bang”: fare in modo che le forze di Volodymyr Zelensky ricevano subito molte armi e mezzi, di ottima qualità, e che questo paralizzi e poi rovesci completamente le sorti della guerra. Altri ancora, invece, sostengono che sia possibile che l’Ucraina riconquisti la Crimea, perché la Russia non avrebbe in realtà il potere di reagire e perché, a loro dire, Vladimir Putin non autorizzerebbe mai il lancio di un’atomica come minacciato o paventato in alcuni momenti da chi crede che la penisola del Mar Nero sia una fondamentale e inequivocabile linea rossa di Mosca. Altri ancora invece ritengono necessario che l’Occidente ipotizzi un conflitto prolungato, proprio per evitare che si insinui il desiderio di cedere di fronte all’eccessiva durata della guerra.
Se da un lato c’è quindi tutto un apparato di Difesa, analisti e politici che ritiene fondamentale il continuo flusso di armi verso Kiev, al punto da sostenere anche la linea sull’invio di caccia F-16 dopo i carri armati, altri, più di recente, hanno espresso delle perplessità.
Negli ultimi giorni, ha fatto scalpore un rapporto della Rand Corporation (think tank molto influente al Pentagono e nei circoli politici e militari Usa) in cui si descrivono i rischi di una guerra prolungata in Ucraina. Sul punto, è interessante notare il passaggio di questo report in cui si dice che “per gli Stati Uniti, una guerra più lunga comporterà sia maggiori costi diretti (come un maggiore sostegno di bilancio e militare all’Ucraina) sia maggiori costi di opportunità in termini di perseguimento di altre priorità di politica estera”. Questo non significa che gli analisti Rand sostengano la cessazione dell’aiuto nei confronti di Kiev: anzi, si sottolineano i costi e i benefici di tutte le opzioni possibili.
Tuttavia, l’analisi si sofferma sul fatto che Washington avrebbe di fatto già ottenuto un enorme indebolimento del sistema russo, mentre – e questo è un punto centrale – “il vantaggio di un maggiore controllo territoriale ucraino” viene definito “importante” per gli Usa ma senza superare “le conseguenze di una lunga guerra“. Per questo, il rapporto evidenzia che la paralisi bellica cui si assiste dall’inverno del 2022 e l’improbabilità di una vittoria assoluta di Kiev come di Mosca suggeriscono che Washington dovrebbe comprendere i frutti di un accordo tra le due parti in guerra. E questo per un concetto di fondo molto chiaro: “La capacità degli Stati Uniti di concentrarsi sulle altre priorità globali, in particolare la competizione con la Cina, rimarrà limitata fintanto che la guerra assorbirà il tempo dei responsabili politici e le risorse militari statunitensi”. Corollario del fatto che la Rand vede come un enorme problema il fatto che la Russia, sebbene già dipendente dalla Cina, non deve diventarne ” completamente subalterna”.
Questi spunti di riflessione, che ricordiamo non indicano la strategia del Pentagono ma gli scenari di un think tank molto influente a Washington, segnalano come esista un’ampia e articolata discussione accademica e tecnica negli Stati Uniti sul futuro di questo conflitto. La linea della “intransigenza”, spesso tradotta in quella dei “falchi”, rappresenta in questo momento quella maggioritaria. E del resto lo conferma anche il fatto che Joe Biden si sia convinto a inviare e chiedere l’invio dei carri armati in Ucraina. Ma lo conferma anche il fatto che autorevoli riviste e vertici militari ritengono del tutto plausibile che Kiev possa contenere l’offensiva russa che si attende in primavera e respingere, per poi contrattaccare, le forze russe. La stessa amministrazione Biden, attraverso alcune indiscrezioni lasciate trapelare dalla stampa, aveva suggerito di avere avallato l’ipotesi di un attacco delle truppe ucraine verso Mariupol e Melitopol, in modo da separare (come prima dell’invasione) la Crimea dal Donbass.
Alcuni però – e questo è anche frutto della rinnovata spinta politica del mondo repubblicano – iniziano a domandarsi come questo conflitto possa chiudersi portando vantaggi rapidi e netti agli Stati Uniti. In parte per una tradizionale forma di “isolazionismo”, in parte per un desiderio di concentrarsi sull’Indo-Pacifico e alla sfida con la Cina, e in parte anche per quell’incubo di “guerre infinite” che inquieta l’America profonda specialmente dopo il disastro afghano, a Washington esiste un fronte che sottolinea l’importanza non tanto di considerare di nuovo un interlocutore la Russia, ma quantomeno di evitare che il conflitto si trascini in un arco temporale indefinito senza una prospettiva di stabilizzazione.