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Succede anche questo quando si cerca per forza un nemico. Che si sbaglia e si rischia di scatenare il caos. In questi mesi di violente proteste, i gilet gialli sono stati spesso accusati di essere parte integrante di un presunto blocco fascista. Accusa che viene spesso ripetuta come un mantra da chi non coglie la reale essenza di un movimento di protesta feroce come quello che ha paralizzato per settimane la Francia

Ma questa volta, l’intellighenzia ha sbagliato (e molto) nel colpire il suo avversario. Anzi, probabilmente sperava che fosse quello identificato, per poi colpire a macchia d’olio tutto il movimento dei gilet gialli. E invece, la realtà era ben diversa.

Parliamo del caso degli insulti rivolti contro il il filosofo francese Alain Finkielkraut. Durante le proteste della scorsa settimana, il filosofo è stato oggetto di una vera e propria aggressione verbale con toni decisamente violenti. All’inizio si è parlato di insulti antisemiti. Ma i presunti insulti sono stati poi rivisti, tanto che lo stesso Finkielkraut non ha parlato di antisemitismo. In ogni caso, l’odio rivolto verso l’intellettuale era palese. Ma quello che non era per niente chiaro riguardava la natura dell’aggressore. E ovviamente, i giornaloni si sono buttati a capofitto andando a pescare la tipica narrazione anti-populista. In primis, partendo dalle accuse di antisemitismo e del fatto che nella pancia di questi movimenti ribolla una camera magmatica di odio razziale e di fascismo.

Peccato che la grande macchina del mainstream abbia sbagliato obiettivo. Perché ad aggredire verbalmente Finkelkraut non è stato né un gilet giallo della prima ore né un appartenente a qualche gruppo di destra, tanto meno (come molti speravano) al Rassemblement National di Marine Le Pen. L’aggressore era un uomo dichiaratamente islamista e già schedato dalle forze di sicurezza francesi come vicino agli ambienti del radicalismo islamico. Tanto è vero che lo stesso filosofo ha detto: “L’ uomo con la barba, il più vendicativo, chiaramente non un bianco, è lui a dirmi, a me che sono ebreo: ‘La Francia è nostra'”.

Anzi, l’intellettuale francese, che fra l’altro non solo è profondamente occidentalista ma anche sostenitore della protesta dei gilet gialli, ha detto che la sua interpretazione dell’accaduto non era affatto come quella descritta dagli intellò della sinistra radical. Per Finkielkraut, gli insulti non avevano nulla a che vedere con l’odio contro gli ebrei da parte di gilet gialli, ma degli islamici radicali. Tanto che lui stesso ha dichiarato che a suo avviso, gli slogan erano “antisionisti” e tipici dell’estrema sinistra extra parlamentare.

Secondo i media francesi, il violento è un soggetto già conosciuto dai servizi di sicurezza e, dal 2014, partecipa a movimenti salafiti. Ma non è mai stato inserito nel registro per la prevenzione del terrorismo islamico, ovvero i cosiddetti “fiche S”. Quindi non è considerato un pericolo per lo Stato. Ma quello che fa riflettere, per la Francia, è che l’unica volta in cui l’antisemitismo diventa centrale nello scontro sui gilet gialli, è opera non di un cittadino qualsiasi, ma di un islamista.

E anche da parte del governo, qualcuno inizia a interrogarsi seriamente su quanto sta accadendo in Francia. Cristoph Castaner, ministro dell’Interno, ha dichiarato qualche tempo fa che “l’antisemitismo si sta diffondendo come un veleno” in tutto il Paese, parlando di numeri decisamente preoccupanti. Secondo le ultime analisi, gli atti  antisemiti in Francia sono aumentati in maniera esponenziale negli ultimi anni,. E nel 2018 sarebbero stati ben 541. Ma a questo punto, le accuse ai gilet gialli si sgonfiano. Il problema è un altro e riguarda soprattutto i gruppi islamisti che Parigi non riesce assolutamente a controllare. E quell’urlo “La Francia è nostra” appare con un significato del tutto diverso. E lo spiega lo stesso filosofo vittima dell’aggressione: è “la grande sostituzione” etnica.

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