L’Fbi parteciperà alle indagini sull’esplosione di Beirut. La notizia circolava già da alcune giorni nei media internazionali ed è stata confermata direttamente da David Hale, sottosegretario per gli affari politici, che arrivato nella capitale del Libano ha affermato che la volontà degli Stati Uniti è quella di ricedere un’indagine “accurata, credibile e trasparente” su quanto avvenuto il 4 agosto. Per ottenere questo risultato, il governo americano ha inviato – su invito delle autorità libanesi – una squadra di investigatori del Federal Bureau of Investigation, che parteciperanno alle indagini. Insieme loro, gli inquirenti libanesi ovviamente, ma anche una squadra di inquirenti francesi inviata sul luogo del disastro perché (formalmente) autorizzata dalla presenza di francesi tra le vittime. Formalmente, perché nella sostanza è chiaro che Emmanuel Macron, con quell’arrivo trionfale tra le vie di Beirut, abbia messo più di un piede in terra libanese, facendo richieste precise e chiedendo garanzie altrettanto nette alle autorità del Paese mediorientale.
L’indagine, che nelle intenzioni del governo libanese doveva rimanere del tutto radicata sul suolo nazionale, si è così elevata in pochi giorni a un livello internazionale. Il governo Diab, da poco dimissionario, aveva garantito insieme al presidente Michel Aoun che ciò che era avvenuto a Beirut sarebbe stato indagato da inquirenti libanesi e la verità sarebbe arrivata solo da questa fonte. Ma gli inviti agli investigatori francesi e americani (inviti più o meno obbligati) confermano che le intenzioni dei partner internazionali erano altre. Il Libano non può dire di no a cuor leggero alle volontà di due partner essenziali come Parigi e Washington: la prima, antica potenza mandataria e protettore de facto del Paese, la seconda, maggiore fornitore e consulente mondiale delle forze armate libanesi. Così come non può nascondere il fatto che l’opinione pubblica sia estremamente sfiduciata dalla classe politica che guida il Paese e non crede nella neutralità e trasparenza dell’inchiesta che dovrebbe far luce sul disastro del porto di Beirut. Tesi ribadita anche dall’ambasciata americana, che in un messaggio pubblicato sul suo sito ha scritto che l’America invita i leader politici del Libano a rispondere finalmente alle richieste di vecchia data e legittime del popolo e a creare un piano credibile, accettato dal popolo libanese, per una buona governance, per un’affidabile riforma economica e finanziaria e per una fine alla corruzione endemica che ha soffocato l’eccezionale potenziale del Libano”. L’indirizzo di Washington è quindi molto chiaro e va nella stessa direzione di quanto affermato da Macron nella recente visita a Beirut. Ma è soprattutto un messaggio rivolto ai partner del Libano: l’America ha messo occhi e orecchie in Libano.
In attesa dell’arrivo formale dei funzionari dell’Fbi (quelli dei servizi segreti americani sono evidentemente già sul posto), intanto a operare sono gli investigatori francesi. La squadra di funzionari di Parigi è già sul posto anche con una squadra di subacquei impegnati nel prelievo di campioni di detriti e esplosivi rinvenuti nel cratere formatosi dopo la deflagrazione nel porto. Il team dovrà poi inviare i risultati delle indagini alle autorità libanesi e francesi. Come riportano i media francesi, le scoperte saranno note sia ai magistrati di Parigi che a quelli di Beirut, ma non si sa esattamente quale sia il limite di questa equipe, sia per quanto riguarda le testimonianza che per le ricerche di documenti. I confini delle indagini restano fumosi al pari di tanti altri misteri che coinvolgono il Libano in queste ultime ore.
L’indagine può essere ovviamente un nuovo durissimo colpo al già fragile equilibrio del Libano, ed è per questo che avere le mani sul suo procedimento equivale a un coinvolgimento diretto nel futuro del Paese. Il governo di Hassan Diab ha concesso la guida delle’inchiesta al Consiglio superiore della magistratura, sotto la supervisione di Fadi Sawwan, ex giudice militare. Il Consiglio però è composto in larga parte da membri che rappresentano le diverse fazioni del parlamento libanese, rispecchiando quel sistema settario che viene rifiutato da larga parte della popolazione. Il rischio è che la verità giudiziaria passi sotto lo stretto controllo di chi per anni ha saputo della presenza del nitrato d’ammonio stipato in quel porto e che venga nel tempo sepolta. È per questo motivo che i libanesi hanno riposto le speranze nell’inchiesta delle Nazioni Unite per far luce sull’assassinio del primo ministro Rafik Hariri nel 2005. La sentenza doveva esserci pochissimi giorni dopo la deflagrazione della capitale, ma ora bisognerà attendere martedì.
IlGiornale.it e InsideOver sono al fianco della popolazione libanese. In questi giorni è partita una raccolta fondi per aiutare chi ha perso tutto nel disastro di Beirut. Chi è interessato a sostenere l’iniziativa può inviare una donazione tramite le coordinate che segnaliamo di seguito:
LB17007500000001140A72559800
Causale: L’Italia per il Libano
Nome del titolare: Charles Georges Mrad
Nome della banca: Bank of Beirut
Indirizzo: Bob – Palais de Justice Branch
SWIFT: BABELBBE
Oppure, con la stessa causale:
VA35001000000048616001
Nome del titolare: Chiesa S. Maria in Campo Marzio
Conto: 48616001
BIC: IOPRVAVX o IOPRVAVXXXX