Quando esce un nuovo libro di John J. Mearsheimer è sempre un grande evento. Professore presso l’Università di Chicago e stimato studioso di relazioni internazionali, Mearsheimer è uno dei più importanti esponenti della scuola del realismo politico contemporaneo, che ha radici e tradizione in Machiavelli, Hobbes, fino a capisaldi del Novecento come Edward Hallett Carr, Hans Morgenthau, Kenneth Waltz.

L’autore del fondamentale The Tragedy of Great Power Politics del 2001 (in Italia pubblicato da Università Bocconi Editore con il nome La logica di potenza. L’America, le guerre, il controllo del mondo), nel quale il professore americano illustrava la sua teoria del “realismo offensivo”, è appena tornato in libreria con un nuovo saggio intitolato TheGreat Delusion: Liberal Dreams and International Realities (Yale University Press).

In questo nuovo e importante saggio, il celebre studioso delle relazioni internazionali sostiene che l’egemonia liberale, ovvero la politica estera perseguita dagli Stati Uniti dopo la fine della Guerra fredda, è destinata a fallire. Per questo, secondo il professore, Washington dovrebbe abbandonare dogmi e convinzioni che hanno segnato la politica estera degli ultimi vent’anni in favore una strategia basata sul realismo politico.

La fine di un’egemonia?

Il nucleo del problema, sostiene Mearsheimer, è stata la volontà dell’America, al termine della Guerra fredda, di riorganizzare il mondo a sua immagine e somiglianza. Il prevedibile risultato è stato caos, spargimento di sangue, una crisi di rifugiati irrisolvibile che ha colpito il Medio Oriente e l’Europa, l’accrescimento di tensioni tra le maggiori potenze e, in generale, una “abissale serie di fallimenti”. Nonostante questo, i leader occidentali continuano a credere che l’egemonia liberale sia l’unica filosofia possibile e perseguibile: “Trattasi di un impulso crociato, profondamente radicato nelle democrazie liberali, specialmente nelle loro élite”, scrive Mearsheimer.

Come sottolinea Robert W. Merry su the American Conservative, commentando il nuovo saggio del professore americano, i leader possono sposare questo obiettivo a causa di un raro sviluppo storico: l’emergere degli Stati Uniti quale superpotenza globale. “Il Paese – osserva Merry – oggi gode del lusso di non avere un solo avversario in grado di sfidare la sua esistenza o la sua posizione globale. In questo modo può permettersi di indulgere al suo implacabile impulso di diffondere la propria filosofia di governo in tutto il mondo. Ma nelle circostanze di un mondo multipolare o bipolare, tale lusso non esisterebbe”.

I danni prodotti dal progressismo liberale 

The Great Delusion: Liberal Dreams and International Realities si concentra sull’analisi del nazionalismo e del liberalismo, in relazione con il realismo politico. Sebbene liberalismo progressista domini la politica americana, compresa la politica estera del Paese, il realismo e il nazionalismo, secondo lo studioso, rappresentano le idee più “potenti” e influenti. Per esempio, Mearsheimer nota che, mentre il liberalismo e il nazionalismo possono coesistere in qualsiasi sistema politica, “quando si scontrano, il nazionalismo vince quasi sempre”. Secondo la storia americana, i “progressisti liberali” sono gli eredi politici di Alexander Hamilton, Henry Clay e, più recentemente, di Franklin Roosevelt e Lyndon Johnson. E su questa scuola di pensiero che punta il dito il professore.

“Poiché il liberalismo apprezza il concetto di diritti inalienabili o naturali – afferma Mearsheimer – i liberal sono profondamente preoccupati per i diritti di praticamente ogni individuo sul pianeta. La logica universalistica crea un potente incentivo per gli stati liberali a farsi coinvolgere negli affari dei Paesi che violano gravemente i diritti dei loro cittadini. Per fare un ulteriore passo avanti, il modo migliore per garantire che i diritti degli stranieri non siano calpestati è che vivano in una democrazia liberale. Questa logica conduce a una politica attiva di regime change, dove l’obiettivo è quello di rovesciare gli autocrati e mettere al loro posto le democrazie liberali” nota lo studioso.

Illusione destinata a fallire

Le esportazioni di democrazia in Afghanistan, Libia e in Iraq, dopotutto, abbiamo visto cosa hanno prodotto: caos, morti e destabilizzazione. “Creare un mondo popolato da democrazie liberali – afferma Mearsheimer – dovrebbe essere anche una formula per la pace internazionale, che non solo eliminerebbe la guerra ridurrebbe notevolmente, se non eliminerebbe, i duplici flagelli della proliferazione nucleare e del terrorismo. E infine, è un modo per proteggere il liberalismo a casa. Nonostante questo entusiasmo, l’egemonia liberale non raggiungerà i suoi obiettivi, e il suo fallimento inevitabilmente porterà enormi costi. È probabile che lo stato liberale finisca per combattere guerre senza fine, che aumenteranno invece di ridurre il livello di conflitto nella politica internazionale” afferma.

“Sulla Russia Stati Uniti ed Europa responsabili della crisi”

Il nuovo libro di John J. Mearsheimer è particolarmente ficcante e critico nel descrivere le politiche aggressive degli Stati Uniti nei confronti della Russia. Mearsheimer critica la narrazione comune occidentale, secondo la quale Usa ed Europa devono difendersi dalla minaccia di Mosca: “Questo resoconto è falso” sottolinea. “Gli Stati Uniti e i loro alleati europei sono i principali responsabili della crisi”. Il cuore del problema, secondo il professore, è “l’espansione della Nato verso est, l’elemento centrale di una strategia più ampia per spostare tutta l’Europa orientale, compresa l’Ucraina, dall’orbita della Russia e integrarla in Occidente”.