Il grande sconfitto, comunque vadano a finire le elezioni francesi, è già stato e continuerà ad essere François  Hollande. L’attuale inquilino dell’Eliseo, infatti, non si è ricandidato alle presidenziali, fatto più unico che raro per un presidente uscente e indice, soprattutto, di un fallimento assoluto di cui immaginiamo abbia piena consapevolezza. La scelta di non ricandidarsi viene da lontano, dalla profonda convinzione di aver tradito le aspettative dell’elettorato socialista e dai dati: statistiche precise ed inappellabili che non hanno lasciato ad Hollande alcuna possibilità di scelta riguardo il suo futuro politico. Solo in materia economica, ad esempio, Hollande aveva promesso di rinegoziare il patto di stabilità, di istituire gli Eurobond e di parificare il ruolo della BCE a quello delle altre banche centrali. Tutte boutades elettorali cadute nel vuoto. Il debito pubblico, peraltro, ha subito un brusco incremento. In materia produttiva, poi, in Francia si parla costantemente di “desertificazione industriale”. Il “socialista pop”, l’ “anti-Sarkò”, colui che doveva ribaltare la situazione sociale francese, non ha fatto altro, mediante le sue politiche, che incrementare ulteriormente il divario tra alto e basso, tra élite e popolo, facendo sì che la voragine sociale nella quale sono soliti infilarsi i “populisti” crescesse a dismisura. Nessuna svolta decisa, inoltre, sulla posizione occupata dalla Francia in Europa.Quando il 6 maggio del 2012, Hollande dichiarò di avere come primo obiettivo quello di dar vita ad un movimento continentale che si opponesse all’austerità delle burocrazie europee gli credettero in molti: “Grazie popolo di Francia – disse Hollande poco dopo la sua elezione- questo è l’inizio di un movimento in tutta Europa, è ora di finirla con l’austerità. Ricorderete per il resto della vostra vita questo grande raduno alla Bastiglia, perché darà un segnale di cambiamento. In tutte le capitali, ci sono persone che vedono in noi una speranza per la fine dell’austerità”.Il successivo appiattimento sulle direttive della Merkel, però, fece scendere sulla terra tutti quegli accessi sostenitori, anche italiani, convinti di aver finalmente trovato un Obama anche per il vecchio continente. Sulla disoccupazione, ad esempio, i numeri sono impietosi: nel primo trimestre del 2012, poco dopo l’insediamento, i disoccupati francesi erano 2,582 milioni. Nel secondo trimestre divennero 2,648 milioni. Durante il secondo trimestre del 2014, due anni dopo l’insediamento, i disoccupati francesi sono arrivati a 2,790 milioni. Il picco, però, venne raggiunto nel quarto trimestre del 2015: 2,935 milioni di disoccupati. Un altro dato, quello relativo al primo trimestre del 2106, segnala come i disoccupati francesi siano diventati2,845 milioni.Nonostante la riforma del mercato del lavoro, manovra che molti commentatori hanno bollato come tardiva e non risolutrice dei problemi strutturali della Francia contemporanea.  Tutti fattori che hanno contribuito a far sì che il gradimento del leader socialista toccasse punte minimali del 14%. Tempi lontani, dunque, molto lontani, quelli in cui venne eletto col 51% dei consensi. Il modello socialdemocratico francese, in realtà, ha in Hollande solo l’emanazione più recente di un progressivo cambio di rotta, una virata decisa che ha prodotto un costante allontanamento dell’elettorato tradizionale dal Ps. Se la socialdemocrazia europea è in crisi, insomma, specie nel suo bacino storico e  naturale, cioè la Francia, non è solo per i demeriti di chi sconfisse Sarkozy cinque anni fa. Era il Marzo del 1983 quando, sotto la presidenza di François Mitterand, il Ps smise di essere una forza socialdemocratica e si appiattì, clamorosamente, sui poteri forti e sul liberismo di mercato. La svolta iniziale- si può leggerequi– derivò dall’abbandono del cosiddetto “Programma Comune”, la ricetta con cui Mitterand vinse le elezioni e che prevedeva la nazionalizzazione di trenta banche e di cinque  gruppi industriali , l’ aumento degli assegni familiari e del salario minimo. Promesse disattese che Mitterand allora giustificò così. Era il febbraio del 1983: “Devo far collimare due obiettivi, quello della costruzione europea e quello della giustizia sociale. Il sistema monetario europeo è necessario per raggiungere il primo e limita la mia libertà per quanto riguarda il secondo”. Non è notizia d’oggi, insomma, lo sconfinamento in politiche monetariste da parte del Ps, provvedimenti neoliberisti che poco hanno a che fare con il manifesto programmatico di questo partito, quindi con le aspettative dei suoi sostenitori.Oggi, secondo  un sondaggio di Paris Match, tra le persone con un reddito stimato sotto i 35 mila euro, Marine Le Pen avrebbe il 46% dei consensi. Marx, insomma, “voterebbe per Marine Le Pen“. Se il fattore sociale ha certamente avuto un ruolo importante nel fallimento di Hollande, tuttavia, quello decisivo resta ancorato alla tremenda escalation jihadista di cui la Francia è stata vittima durante il mandato dell’ex segretario del Ps. La riforma costituzionale proposta dallo stesso Hollande dopo l’attentato del 13 novembre in cui morirono 130 persone è tristemente naufragata. La situazione sociale è sempre più tesa e chiunque si troverà sullo scranno più alto dell’Eliseo dovrà affrontare, in primis, una guerriglia urbana quotidiana che sta sconfinando sempre più spesso dalle banlieue ai centri più importanti della Francia dei nostri giorni. Hollande, in definitiva, è già passato alla cronaca come il peggior presidente che i cugini d’oltralpe abbiano mai avuto.





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