Evo Morales non potrà candidarsi alle elezioni del prossimo 3 maggio. Il Tribunale supremo elettorale (Tse) del paese ha infatti escluso la candidatura dell’ex presidente in quanto ormai non più residente nel paese.

Al momento, Morales vive infatti in esilio in Argentina, dopo aver abbandonato la Bolivia l’11 novembre a causa delle proteste e degli scontri dovuti alla sua controversa rielezione, successivamente annullata. Secondo il quotidiano Los Tiempos, al momento gode dello stato giuridico di rifugiato politico e ha cambiato la propria residenza fin dallo scorso Dicembre. 

“La risoluzione ha carattere inappellabile, dato che è stata emessa proprio dal Tribunale supremo elettorale con carattere giuridico,” ha dichiarato il presidente Salvador Romero, secondo quanto riporta il quotidiano boliviano Página Siete.

Morales, che era il primo candidato al senato per la circoscrizione di Cochabamba, ha immediatamente commentato la decisione, definendola un “colpo contro la democrazia,” l’ennesimo dopo il “golpe” che lui ritiene l’avrebbe costretto alla fuga. Insieme all’ex presidente, il Tse ha poi escluso anche i candidati al senato Diego Pary, Mario Cossío dell’alleanza Creemos e Jasmine Barrientos del Frente Para la Victoria.

Sarà quindi la prima volta in 23 anni che il leader dei cocaleros del tropico di Cochabamba non si presenterà a una elezione generale. Alcuni dei suoi oppositori hanno sottolineato come la candidatura fosse strumentale ad ottenere l’inviolabilità parlamentare e sottrarsi quindi ai processi che lo vedono come imputato. Ciononostante, Morales sembra non aver perso tutte le speranze: secondo quanto riporta il quotidiano La Razón, i suoi avvocati starebbero pensando a un ricorso presso il Sistema Interamericano per i Diritti Umani.

Curiosamente, la decisione arriva a ridosso del 21 febbraio, anniversario della storica sconfitta di Morales quattro anni fa al referendum che doveva garantirgli la possibilità di partecipare alle elezioni del 2019, vero e proprio giro di boa della politica boliviana attuale. 

Un colpo duro, ma non mortale

Nonostante la decisione del Tse porti all’esclusione della figura più iconica nella storia del paese degli ultimi 20 anni, è difficile considerarla un colpo mortale al Movimiento Al Socialismo (Mas).

Anche Luis Arce, ex ministro dell’economia e suo candidato alla presidenza, era infatti sottoposto a verifiche, ma l’organo elettorale supremo ha certificato la regolarità della sua posizione. Arce rappresenta chiaramente un segnale di continuità nella politica boliviana, dato che è stato a fianco di Morales fin al suo primo giorno al governo, con una pausa di soli due anni dovuta a motivi di salute, seguendo l’ex presidente anche nella sua fuga in Messico.

D’altronde la sua stessa candidatura era stata annunciata trionfalmente dal leader cocalero lo scorso 19 gennaio, che l’ha presentato come il garante dell’economia nazionale. Nonostante le organizzazioni sociali che sostengono il Mas avessero inizialmente preso la nomina di Arce come un’imposizione dall’alto, preferendole quella dell’ex ministro degli esteri David Choquehuanca, alla fine sono anche loro rientrati nei ranghi ratificando il loro appoggio

Movimiento Al Socialismo primo partito

Anche se le percentuali schiaccianti che gli avevano permesso nel 2014 di vincere al primo turno sono lontane, in una recente sondaggio dell’istituto Ciesmori le proiezioni di voto hanno dato il Mas ancora come primo partito al 31 percento.

Inoltre, Arce si trova, come sempre nella recente storia del paese, a fronteggiare un’opposizione tutt’altro che unita: il candidato centrista Carlos Mesa, ex capo di Stato della Bolivia tra il 2003 ed il 2005, lo segue con il 17,1 per cento, mentre l’attuale presidente ad interim Jeanine Añez, con la formazione Juntos, raccoglie il 16.5 per cento dei consensi.

Come fa notare in un editoriale il quotidiano La Razón, la vera gara sembra essere quindi fra chi presiederà il fronte contro il Mas, con entrambi i candidati intenti a proporsi come gli unici portatori del voto utile “per evitare che torni Evo”.

La vera delusione sembra averla portata a casa invece Luis Fernando Camacho, il leader di destra dei comitati civici di Santa Cruz alla testa delle proteste più dure e spettacolari per annullare le precedenti elezioni: nell’inchiesta di Ciesmori la sua coalizione Creemos ha raccolto meno del 10 percento delle intenzioni di voto. Camacho ha quindi scelto di lasciare la sua candidatura in bianco, attendendo per capire verso chi ridirigere i suoi volti. E nel frattempo ha continuato a soffiare sul fuoco: “La vera minaccia è che il Mas vinca la maggioranza del Congresso e forse anche la presidenza durante il primo turno,” ha dichiarato dopo aver appreso della decisione del Tse.

Se non dovessero esserci variazioni, lo scenario più plausibile è un ripetersi dei risultati dello scorso ottobre, con un Mas che emergerebbe come prima forza elettorale al primo turno ma rischierebbe di perdere la presidenza al ballottaggio.