L’Europa è un Vietnam politico. Il Parlamento europeo ha ben poche prerogative sovrane, ma le ha esercitate con durezza, fino in fondo, mettendo a rischio il disegno dell’asse franco-tedesco che prevedeva la Commissione alla tedesca Ursula von der Leyen e il maxi-portafoglio con Industria, Difesa e Spazio alla transalpina Sylvie Goulard.
La Goulard è stata respinta ad ampia maggioranza principalmente per la rivolta del Partito popolare europeo (Ppe) alla scelta di Emmanuel Macron di porre il veto sulla nomina di un suo esponente eletto a Strasburgo, Manfred Weber, alla guida della Commissione. Ma non è da sola. L’esponente macroniana segue la socialista Rovana Plumb e il popolare di Fidesz, partito del premier ungherese Viktor Orban, Laszlo Trocsanyi nella lista dei bocciati dall’Europarlamento. Uno per ognuno dei partiti dell’asse portante della nuova Commissione.
La nuova Europa si presenta quindi ingovernabile, specie perché le diverse defezioni nell’Europarlamento al momento del voto sulla “maggioranza Ursula” l’hanno resa dipendente dal sostegno di due formazioni esterne alle tre grandi famiglie: il Movimento Cinque Stelle, azionista di maggioranza del governo italiano, e i nazionalisti polacchi di Diritto e Giustizia, riconfermati trionfalmente alla guida del Paese nelle recenti elezioni.
La colpa di questo caos è principalmente del presidente Macron, responsabile di un azzardo finalizzato alla marginalizzazione dell’Europarlamento nelle negoziazioni estive per le alte cariche europee. Casus belli il veto di Macron su Weber che ha ridimensionato il ruolo del parlamento e al suo interno del Ppe uscito primo gruppo dalle elezioni europee di maggio. Veto, sottolinea Repubblica, “che Macron ha posto senza giustificazioni. In realtà il presidente francese pensava di essere stato molto furbo e, con un sol colpo, aver portato a casa due risultati. Primo: fare un favore ad Angela Merkel, che non poteva opporsi a Weber ma che avrebbe preferito un candidato più vicino a lei, come appunto Ursula von der Leyen. Secondo: affossare il sistema degli Spitzenkandidaten che riduceva notevolmente il potere dei governi nazionali nella scelta del presidente della Commissione a tutto vantaggio del Parlamento” in cui il gruppo Renew Europe di cui “En Marche!” fa parte è solo terza forza.
La scommessa macroniana si basava sul presupposto che, in ogni caso, le forze-spauracchio del capo dell’Eliseo, ovvero le destre sovraniste, sarebbero rimaste marginalizzate. Così non è stato, dato che nel voto sulla Goulard si è verificata un’inedita convergenza tra il Ppe (di cui fa parte Forza Italia), il gruppo Identità e Democrazia centrato sulla Lega e il fronte conservatore guidato da Diritto e Giustizia e rinsaldato da Fratelli d’Italia, compatti e decisivi, assieme ai Verdi, nel respingere l’ex ministro della Difesa di Parigi. A dimostrazione di come il tentativo di spingere Strasburgo nell’angolo abbia sortito gli effetti opposti.
Il presidente del Parlamento David Sassoli si trova, controvoglia, investito della missione difficile di mediare tra von der Leyen, governi e gruppi parlamentari in rivolta per completare la Commissione resa monca dalle tre bocciature. Ma il gioco di veti incrociati tra i diversi attori in campo rischia di portare alla paralisi. E viene da chiedersi con che prospettive parta la legislatura europea 2019-2024, già frenata da giochi di palazzo, rivalità intestine e invidie che hanno affondato ogni retorica riformatrice. Mentre, nel mondo, il ruolo dell’Europa continua a diventare sempre più marginale.