L’Europa orientale risulta, allo stato attuale delle cose, uno dei cuori strategici del Vecchio Continente. I Paesi che la compongono vivono infatti una delicata congiuntura politica. Dal 1989 a oggi, infatti, le nazioni che un tempo orbitavano nella sfera d’influenza sovietica hanno avviato un lungo e tortuoso percorso di ridefinizione delle proprie identità, delle proprie prospettive storiche e del loro ruolo in un’Europa che, dopo la caduta del comunismo, ha accelerato nell’edificazione dell’architettura politico-economica comunitaria.
Oggigiorno, l’Europa orientale è terra di contrasti e contraddizioni, come testimoniato dalla traiettoria del Paese più rilevante della regione, la Polonia guidata dal Partito “Libertà e Giustizia”: terra d’emigrazione, ma governata da leader fortemente antimmigrazionisti; terra di Paesi critici di numerose istanze comunitarie ma, per la maggior parte, guidati da élite ancorate a una solida fedeltà all’Alleanza Atlantica. In Europa orientale la storia non passa e si fa, oggigiorno, geopolitica. Il difficile riassetto delle identità nazionali porta alla ridefinizione di iniziative regionali che richiamano con forza il passato.
Il gruppo di Visegrad, che riunisce Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, prende nome dalla città ungherese che fu sede, nel 1335, di uno storico incontro tra i sovrani di questi Paesi; l’iniziativa economica Trimarium richiama l’Intermarium del leader della Polonia interbellica Josef Pilsudski. L’Europa orientale vuole costituirsi come entità a sé ma non riesce a superare la sua fragilità politica intrinseca, suggellata dai numerosi cambi di governo avvenuti nelle ultime settimane e che, assieme ai risultati delle recenti elezioni, contribuiscono a definire un quadro molto fluido.
Tutti i dilemmi della Polonia, cuore pulsante dell’Europa orientale
La Polonia è attualmente il Paese-guida del blocco esteuropeo, che risulta più solido nel momento in cui si tratta di porre veti alle iniziative comunitarie intese come limitazioni delle sovranità nazionale o di elaborare un percorso di rafforzamento dell’asse con gli Stati Uniti ma sicuramente meno coeso in materia di elaborazione di una visione geopolitica comune: Varsavia, in questo senso, gioca da leader in Europa orientale al fine di consolidare un gruppo di Paesi critico, al tempo stesso, di Russia e Germania, ma si scontra con i forti legami economici che uniscono gli Stati esteuropei all’egemone dell’Unione.
Matteo Tacconi ha definito su Limes la Polonia trasformata dalla leadership, diretta o manovriera, di Jaroslaw Kaczynski come una nazione basata su tre presupposti: capitalismo, sovranità, inclusività. Kaczynski, scrive Tacconi, “sta cercando di orientare la strategia di crescita con un appoggio non ortodosso, che poggia sul ruolo forte dello Stato nell’economia, sulla riacquisizione di asset, su politiche sociali degne di nota”.
In questo senso, il recente avvicendamento ai vertici del Paese e l’ascesa alla guida dell’esecutivo di Mateus Morawiecki, ex Ministro dello Sviluppo del governo Szydlo, segnala come all’interno di “Libertà e Giustizia” sussistessero forti critiche sulle modalità con cui il progetto di rafforzamento della sovranità politica-economica nazionale fosse stato condotto negli ultimi mesi e consistenti pressioni per un cambio di marcia.
In Repubblica Ceca la vittoria di Zeman dà speranze a Babis
La Repubblica Ceca ha visto di recente la riconferma, al ballottaggio, del Presidente della Repubblica Milos Zeman, del partito conservatore SPO, contro l’indipendente Jiri Drahos. La vittoria di Zeman è la migliore notizia per il magnate Andrej Babis, il cui governo di minoranza è stato sconfitto notevolmente nel primo voto di fiducia di gennaio, che conta sulla benevolenza del Presidente per poter continuare la sua avventura, puntando a un rimpasto di governo implicante una svolta a destra.
La situazione ceca è sintomatica delle dinamiche dell’Europa orientale: Zeman e Babis hanno conquistato le loro posizioni di forza sulla scia di istanze critiche dell’Unione Europea, fautrici di un rafforzamento della sovranità nazionale e di una commistione tra politiche economiche di aperto stampo neoliberista e prese di posizioni favorevoli a un rilancio dei welfare nazionali, che hanno trovato un uditorio attento nelle parti rurali del Paese, colpite dalle notevoli disuguaglianze con le città principali.
Non è un caso che Zeman abbia trionfato a Brno e Ostrava, città rappresentanti della Moravia che vive un notevole distacco in termini di reddito e opportunità dalla più prospera Boemia, mentre il suo sfidante abbia avuto in Praga la sua roccaforte. La scissione interna tra Paesi è un’altra linea di tensione dell’Europa orientale che i governi della regione dovranno saper riconciliare per garantire stabilità alle nazioni: i casi di Polonia e Repubblica Ceca testimoniano come sia difficile coniugare politiche favorevoli al rilancio della sovranità nazionali con contesti interni che presentano disuguaglianze tanto macroscopiche.