Con le elezioni europee alle porte e con il mandato della Commissione agli sgoccioli, ora tutti si domandano quale possa essere il futuro dell’Ue. Chi governerà in Europa? Chi sarà a sedere sul trono di Bruxelles? Come sarà composta la futura Commissione? Naturalmente tutto dipenderà dalla composizione dell’Europarlamento e dalle alleanze possibili fra gruppi parlamentari e quelle (più certe) fra attuali governi europei. Ma se è già iniziata la sfida per avere i commissari economici, che sono quelli che contano in un’Europa fortemente orientata a decidere le sorti dei Paesi membri esclusivamente da un punto di vista finanziario, è altrettanto verso che chiunque sarà il prossimo presidente della Commissione sarà necessariamente un filo-tedesco. E quindi tutta la Commissione sarà in larga parte orientata a mantenere lo status quo di questa Unione europea tendenzialmente germano-centrica a meno di clamorose (e altamente improbabili) rivoluzioni in casa europea. Perché anche se non sarà un tedesco a guidare la Commissione, è comunque probabile che sia qualcuno che circola nell’orbita dei Paesi che fanno parte della grande sfera d’influenza di Berlino degli Stati che eseguono in qualche modo gli ordini della finanza che da Francoforte ha le redini della casse dell’Europa.

I nomi sono sempre gli stessi: Manfred Weber, Frans Timmermans, Margrethe Vestager, Ska Keller, Jan Zahardil, e poi due outsider, Nico Cuè e Violeta Tomic. Sono loro i papabili presidente della Commissione a meno di un clamoroso (quanto improbabile) ingresso di Angela Merkel o di un francese come Michle Barnier. E tutti quei nomi indicano che chiunque governerà l’Ue sarà figlio di un sistema politico ed economico che in qualche modo farà gli interessi dell’Europa centrale, della Germania in particolare, e non ce n’è uno pronto a scalfire il “dominio” tedesco (nemmeno franco-tedesco) sull’Europa del prossimo futuro. E questo nonostante l’area mediterranea scalpiti da tempo per cercare di avere più voce nel Vecchio Continente.

Questo chiaramente è un campanello d’allarme che l’Italia non può non ascoltare. Se i candidati più forti sono due tedeschi, una danese, un ceco, un olandese e uno spagnolo, è chiaro che non cambierà nulla per il nostro Paese. Anzi, è molto probabile che il rigore nei confronti di Roma e del governo giallo-verde possa anche aumentare. Weber ha fatto capire di non avere interesse a un’alleanza con Matteo Salvini, di fatto scoraggiando anche aperture verso l’esecutivo guidato da Lega e Movimento 5 Stelle. Timmermans, olandese, quindi parte del blocco dell’Europa centro-settentrionale che fa capo a Berlino, non si metterà di traverso a una politica industriale più favorevole al Nord. Un esempio? Il fatto che l’Olanda sia tra i primi Paesi a ottenere un vantaggio dall’emarginazione dell’Italia dalla Cina visto che questo può influire sull’aumento del traffico nei porti dei Paesi Bassi. La Vestager, Spitzenkandidatinen dei Liberali, potrebbe avere una maggiore apertura nel senso di rottura dell’asse franco-tedesco, come dimostrato dalla sua aperta sfida falla fusione Siemens-Alstom: ma se Berlino e Parigi daranno l’ok, sicuramente non sarà una presidente di Commissione anti-tedesca. E storicamente la Danimarca è legata a doppio filo al blocco economico e strategico rappresentato dalla Germania.

Una mano non potrebbe arrivar neanche dai candidati dei partiti più piccoli. Nico Cuè, rappresentante della Sinistra, che chiaramente non andrà mai al potere, è comunque figlio di un sistema economico come quello del nord della Spagna che è legato in maniera indissolubile al sistema industriale tedesco. Zahardil, presentato dai Conservatori e Riformisti, proviene dalla Repubblica Ceca, e quindi da un Paese che ha il tessuto industriale fuso quasi completamente con quello tedesco, al pari di quasi tutti i Paesi dell’Europa orientale e del Gruppo di Visegrad. E il fatto che sia più liberista che sovranista non inciderebbe certo in maniera positiva sull’affermazione di un dominio diverso da quello germanico. Idem per la Keller, tedesca e candidata dei Verdi, che per forza di cose certamente non andrà a opporsi a politiche favorevoli alla Germania. E in ogni caso, sarebbe comunque una tedesca alla guida della Commissione. Che è quello su cui punta la Merkel, a prescindere da chi sia a sedersi sul trono di Bruxelles: basta che sia un’emanazione di Berlino.





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