Per adesso le attenzioni sono tutte concentrate lungo il fronte siriano, ma la Turchia in questi mesi si sta giocando la sua principale partita nell’altro versante, ossia in quello mediterraneo. È qui che Erdogan ha le sue principali aspirazioni, le quali sono sia di ordine energetico/economico che politico: il presidente turco sogna di essere il leader più influente del Mediterraneo orientale.

La questione dei giacimenti a largo di Cipro

La vera battaglia Ankara la sta combattendo a suon di trivellazioni. Nelle acque antistanti l’isola di Cipro infatti, vengono scoperti dei giacimenti di idrocarburi tra i più grandi e potenzialmente importanti dell’intero Mediterraneo. Un’occasione troppo ghiotta per Erdogan per implementare la sua politica in questo versante: poter avere anche una minima parte di quei giacimenti, darebbe alla Turchia una forte influenza in questa zona strategica del Mediterraneo. Per farlo, Ankara tira fuori la questione cipriota: sull’isola, come si sa, dal 1974 vi è la presenza militare turca che favorisce pochi anni dopo la creazione di uno Stato turcofono riconosciuto però solo dal paese anatolico. La comunità internazionale invece, ha rapporti con il governo grecofono che in realtà ufficialmente rappresenta l’intero territorio cipriota ed è un membro dell’Ue. La presenza però dello Stato turcofono, pone Erdogan nelle condizioni di rivendicare, tramite il governo di Cipro del Nord, una parte dei giacimenti che diventano subito oggetto di contrasti con l’Europa.

Secondo la Turchia, anche i turco ciprioti devono partecipare allo sfruttamento delle risorse attorno all’isola e dunque Ankara da alcuni mesi invia navi per trivellare ed esplorare i vari giacimenti. Dal canto suo, né il legittimo governo cipriota e né l’Ue sono ovviamente d’accordo con la visione di Erdogan. L’invio di navi turche nell’area è considerato illegale, Nicosia ed Atene sollecitano Bruxelles ad intervenire. Anche perché altri paesi, quali Italia e Francia, vedono compromessi in questo momento propri interessi: l’Eni, che con il governo cipriota stringe accordi per l’esplorazione di alcuni lotti dei giacimenti, si vede respingere nel 2018 la nave Saipem 1200 da parte della marina turca, anche la Francia con la Total ha analoghi problemi.

La risposta europea è però piuttosto blanda: vengono introdotte in estate alcune sanzioni, che da Ankara sono considerate però poco importanti e giudicate come non meritevoli nemmeno di considerazione.

L’arma della questione migratoria

Anche perché Erdogan ha dalla sua non solo le trivellazioni, ma anche un’altra arma forse ancora più importante: quella relativa alla presenza di migranti all’interno del suo territorio. La Turchia da sola ospita tanti profughi, soprattutto siriani, quanti ne ospita l’Ue sommando tutti e 28 gli attuali paesi membri. Sono più di 3.5 milioni i migranti presenti, per mantenerli Ankara dal 2016 batte cassa. Dopo la crisi scaturita dalle migliaia di profughi che arrivano nel nord Europa in quell’anno tramite la rotta balcanica, la Germania si fa promotrice di un accordo tra Ue e Turchia: tre miliardi di Euro ogni anno vengono versati da Bruxelles al governo turco per mantenere i siriani all’interno del territorio del paese anatolico ed evitare nuove partenze.

Erdogan, da quando la questione relativa ai giacimenti ciprioti appare sempre più impellente, torna a minacciare di far partire dalle proprie coste migliaia di migranti verso l’Europa. Una questione che mette in allerta soprattutto Berlino, visto che la Germania è la meta preferita di coloro che, dopo essere arrivati dalla Turchia in Grecia od in Bulgaria, risalgono la penisola balcanica. Ed è per questo che da Bruxelles, considerata l’importanza della posta in palio con i giacimenti ciprioti, la risposta nei confronti di Erdogan appare poco incisiva. Non a caso il governo di Atene, il quale sente da vicino la questione cipriota e teme possibili velleità espansionistiche turche anche nei pressi delle acque di propria competenza economica, da mesi appare molto più vicino agli Usa: importanti contratti militari di recente vengono siglati tra Grecia e Stati Uniti, con Washington che sull’affaire dei giacimenti ciprioti si schiera contro le pretese di Erdogan.

Ma, sotto questo fronte, il braccio di ferro è solo all’inizio: è in questo specchio d’acqua del Mediterraneo orientale che le varie parti in causa stanno attuando una delle partite politiche (e non solo) più importanti a cavallo di Europa e Medio Oriente.

La minaccia all’Europa

I migranti vengono usati da Erdogan anche in relazione alla crisi aperta lungo il confine siriano. A poche ore dall’inizio dell’operazione “Primavera di pace”, il presidente turco si è scagliato contro l’Europa minacciando esplicitamente il vecchio continente che continua a chiedere di stoppare le azioni militari: “Se continuate a chiamarla ‘invasione’ o ‘occupazione’ – afferma Erdogan –  apriremo le porte a 3,6 milioni di rifugiati siriani e li manderemo da voi”.

Questa volta dunque l’affermazione del presidente turco non lascia spazio ad interpretazioni: l’Ue, secondo Ankara, deve smetterla di parlare contro l’operazione avviata contro i curdi presenti in Siria, diversamente si ritroverà con una nuova crisi migratoria alle porte. Secondo Erdogan, la Turchia ha tutto il diritto di portare avanti le operazioni che ritiene opportune per la propria sicurezza: “Abbiamo già ucciso 109 terroristi in queste ore”, rincara il presidente turco mentre intanto i primi militari entrano in territorio siriano.