Recep Tayyip Erdogan ha un solo obiettivo: il nord della Siria deve passare sotto il controllo della Turchia. Vladimir Putin ne ha altri: la guerra in Siria deve finire, Bashar al-Assad rimanere al suo posto ed evitare lo smembramento del Paese. Sono queste le due premesse, necessarie e forse neanche sufficienti, per capire quali sono state le vere trattative che si sono tenute al Cremlino fra il presidente russo e il suo omologo turco.

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Un incontro cordiale, come del resto gli ultimi (e molti) vertici fra i due leader, che ha dimostrato come l’asse fra Ankara e Mosca sia più attivo che mai. Un asse che funziona in diversi settori, dal gas all’energia nucleare, dal commercio alla difesa. Ma che è soprattutto in Siria che ha una delle sue maggiori chiavi di lettura.

Russia e Turchia non hanno combattuto sempre dalla stessa parte. E probabilmente continuano a non farlo, anche se all’apparenza vediamo più sorrisi che volti tesi. In realtà i due Stati seguono strategie decisamente diverse e non necessariamente convergenti su diversi aspetti tutt’altro che secondari.

Ma Erdogan e Putin sanno perfettamente che l’uno è necessario all’altro. Ed è proprio questa reciproca importanza a fornire loro tutti i motivi per blindare i rapporti fra i propri governi. E in Siria la volontà di entrambi è riuscire ad arrivare a un compromesso che garantisca il più possibile i loro interessi evitando che le forze occidentali e arabe mettano a repentaglio le rispettive aree di influenza.

Per Erdogan, la sfera d’influenza significa il nord della Siria. L’ha dimostrato con le invasioni di Afrin e Jarabulus, ma anche con le campagne militari contro i curdi. E questo si traduce nella volontà, spiegata già su questa testata, di costituire una sorta di protettorato sul modello di Cipro Nord che abbia come area tutto il settentrione siriano. Un’ipotesi che è stata ribadita da Erdogan nel suo incontro con Putin.

Come spiegato da La Stampa, infatti, “il leader turco vuole il consenso russo per creare una ‘zona di sicurezza’, profonda 30 chilometri, lungo 460 chilometri di frontiera. Sono altri 13mila chilometri quadrati di territorio, una regione come la Calabria, che dovrebbero finire sotto amministrazione turca, l’anticamera di una annessione”. Obiettivo chiaramente molto complicato ed estremamente esigente, ma che rientra perfettamente nei metodi del Sultano turco, le cui velleità neo-ottomane non sono certo un mistero.

Chiaramente questo non è quello che Putin definirebbe uno scenario ottimale. Né lui, né Assad ne Hassan Rouhani avrebbero il piacere di vedere province siriane diventare a tutti gli effetti territori turchi. Specie in un momento in cui i curdi stanno faticando a riallacciare le relazioni con gli Stati Uniti, e in cui possono diventare una pedina utilissima per far tornare il Rojava sotto il pieno controllo di Damasco. Ma la politica è l’arte del compromesso: e Putin sa che per far terminare questa guerra, la Turchia non deve essere messa in condizione di nuocere. A costo che anche lei sia disposta a cedere (e parecchio) in questa complessa trattativa sul nord della Siria.

Per Putin, la contropartita sarebbe composta da Idlib e dall’assicurazione sui curdi, che diventerebbero parte dell’esercito regolare siriano. Il Rojava non passerebbe infatti del tutto sotto controllo turco, ma solo alcune aree ormai in mano all’esercito di Ankara e alle sue milizie, impossibile da sradicare da quell’area senza una guerra che adesso appare del tutto fuori discussione sia per Assad sia (e soprattutto) per russi e iraniani.

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Ma è soprattutto su Idlib che si concentrano le attenzioni di Mosca. Se Idlib, vera e proprio tempio del terrorismo in Siria, passa di nuovo sotto Damasco, la Russia si garantisce la piena sicurezza delle basi vicino la provincia e soprattutto darebbe ad Assad il pieno controllo dell’ovest della Siria fino al confine turco. Un’eventualità che, unita al ritiro americano a Est, comporterebbe di fatto la fine della guerra. Ipotesi che intanto vedono dei primi movimenti sul campo. Nelle ultime ore si è tornato a parlare di rafforzare le postazioni di Manbij e di problemi legati all’accordo su Idlib. Mosca vuole vederci chiaro: ma soprattutto pretende garanzie da Ankara: sia sui terroristi di Idlib che sulle mosse con i curdi. Altrimenti, il tavolo può saltare.