Recep Tayyip Erdogan ha messo nel mirino la Palestina e punta a guidare le organizzazione più estreme. È questo l’allarme lanciato da Giordania, Arabia Saudita e la stessa Autorità nazionale palestinese a Israele. Secondo quanto rivelato dal quotidiano israeliano Haaretz, l’attività della Turchia soprattutto a Gerusalemme Est è cresciuta molto negli ultimi tempi. E Ankara rischia ora di guidare il movimento palestinese scalzando gli Stati che tradizionalmente hanno maggiore peso nelle decisioni dei movimenti che lottano per l’indipendenza della Palestina.

I tentacoli di Erdogan

L’influenza turca sulla Palestina è da tempo sotto stretto controllo delle autorità israeliane. L’intelligence sa che Erdogan ha come progetto quello di guidare i movimenti per imporsi come interlocutore su tutte le questioni mediorientali. E la Palestina è certamente una delle principali. 

Un’influenza che si basa non solo su attività “clandestine” o puramente di intelligence, ma anche su una serie di legami economici e culturali per certi versi alla luce del Sole. Come spiegato dal quotidiano israeliano, i tentacoli di Erdogan si sviluppano in quattro direttrici:

donazioni alle organizzazioni islamiche;acquisti di immobili nella parte orientale di Gerusalemme;organizzazione di visite turistiche e tour delle organizzazioni islamiche turche;partecipazione dei gruppi radicali turchi alle proteste palestinesi.L’allarme degli Stati arabi

Il fatto che sia gli Stati arabi che le autorità palestinesi abbiano lanciato questo allarme coinvolgendo direttamente Israele, è molto importante. È la dimostrazione che l’interesse comune sia quello di mantenere l’equilibrio, evitando che la Turchia possa entrare come nuovo giocatore in una partita che già di suo è estremamente complicata e non priva di ostacoli quasi insuperabili.

Giordania e Autorità nazionale palestinese sanno che l’influenza turca può essere dirompente. Erdogan ha alle sue spalle uno Stato forte. E da Amman fanno sapere di aver avvertito più volte Israele della crescente capacità di Ankara di assumere peso all’interno delle gerarchie palestinesi. Il regno giordano teme di perdere la protezione che da sempre ha sui luoghi santi dell’Islam in Palestina.

Per quanto riguarda l’Anp, molti dei gruppi più radicali sono delusi dalla mancanza di una strategia chiara da parte dei vertici politici e militari del fronte palestinese. L’Autorità viene considerata da molti collusa con Israele e Abu Mazen è un leader sempre più debole e meno capace di gestire la situazione. Inoltre, gli Stati arabi hanno nel tempo perso quella volontà di proteggere i palestinesi. E questo nasce anche dall’esigenza da parte di questi Stati di dimostrare la loro vicinanza rispetto a Israele per non turbare gli Stati Uniti.

Dall’altro lato, non va sottovalutata anche la questione legata al blocco nei confronti del Qatar. Doha ha rappresentato per anni il centro di finanziamento principale di Hamas e di molti movimenti palestinesi. La chiusura di questo rubinetto ad opera dell’Arabia Saudita che ha voluto colpire la politica qatariota ha condotto a un vuoto di alleanze che molte organizzazioni tra Gaza, Gerusalemme Est e Ramallah cercando ci colmare. 

Ma questo punto ha anche un altro risvolto. Erdogan al pari del Qatar, ha un fortissimo legame con i Fratelli musulmani, movimento che i sauditi e gli Stati arabi vogliono colpire in maniera radicale. Il fatto di aver bloccato il Qatar ma di ritrovarsi la Turchia e la Fratellanza invischiata negli affari palestinesi, significa che la minaccia non si è fermata. Anzi, dimostra la capacità dell’organizzazione islamica di portare avanti il suo progetto.

La penetrazione turca è iniziata da tempo

Non è una novità che Erdogan abbia interessi in Palestina. Nell’ultimo mese i rapporti si sono fatti sempre più complessi con Israele, anche per motivi puramente elettorali. Il Sultano si è voluto presentare come difensore del popolo palestinese contro Israele dopo gli scontri avvenuti al confine israeliano e che hanno visto morire centinaia di palestinesi. 

Nella fase più calda delle proteste, quando i morti iniziavano a contarsi a decine, Erdogan ha virato verso una forte opposizione alle politiche israeliane. E l’espulsione dell’ambasciatore di Israele in Turchia è stato l’apice di questa guerra diplomatica avviata da Ankara. Nel frattempo, Israele rispondeva colpo su colpo, e non va sottovalutato l’appoggio di una parte della Knesset alle istanze autonomiste del Kurdistan.

 Ma se torniamo indietro di anni, l’influenza turca su quella parete di Medio Oriente si può far risalire già ai tempi dell’incidente della Freedom Flotilla, quando morirono nove attivisti turchi nell’assalto dei commando israeliani a circa 75 miglia nautiche dalle coste israeliane. La missione della flotta dell’Ong pro-Palestina finì nel sangue, ma Erdogan riuscì a legittimarsi di fronte all’opinione pubblica palestinese.

Israele rassicura i vicini

Gli ufficiali dell’intelligence israeliana hanno rassicurato i vicini arabi. Sembra incredibile che Israele rassicuri Stati che in teoria non lo riconoscono, ma questo è il mondo mediorientale di oggi: tutto è in trasformazione, malleabile e le alleanze cambiano. Israele in questa fase è un partner delle monarchie del Golfo ed è a stretto contatto con la Giordania, e questo è evidente a tal punto che si ritrovano, anche in questo caso, come con l’Iran, sullo stesso lato della barricata. 

I servizi israeliani hanno confermato alle loro controparti arabe di aver avviato da tempo un’attività di monitoraggio. La polizia israeliana è al corrente di queste acquisizioni immobiliari così come delle donazioni verso gruppi islamici. Ma anche confermando l’attenzione nei confronti di questa strategia truca, le forze dell’ordine e i servizi israeliani hanno fatto capire che c’è effettivamente una crescita esponenziale della presenza turca a Gerusalemme Est. 

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