Sull’ultimo numero di Limes Daniele Santoro, apprezzato analista della rivista di geopolitica, ha sottolineato con acume che “la Turchia è il solo alleato di Ankara”, e che questo fatto è tanto più evidente quanto più l’era Erdogan si va allungando. Il Sultano non intende scegliere tra l’Occidente e la proiezione euroasiatica, puntando al contempo a rendere sempre meno vincolante la sua appartenenza alla Nato, a ridurre le conseguenze negative dell’eccessiva esposizione regionale degli ultimi anni, a trovare una sinergia sempre maggiore con la Russia e ad approfittare dello sviluppo della geostrategia cinese. Il tutto in un ensemble che fatica a trovare coerenza e stabilità, ma a cui gli apparati dirigenti dello Stato turco si dedicano con forza e volontà politica.

Il recente caso della diatriba turco-americana sui caccia F-35 e sul sistema di difesa aereo russo S-400 lo dimostra. Ankara intende andare fino in fondo nella sua apertura all’acquisto degli S-400 e non sembra essere disposta a cedere alle minacce statunitensi di ridurre la cooperazione securitaria e di annullare le forniture di F-35 al Paese. Negli ultimi anni, a partire dal fallito golpe del 2016 dietro cui Erdogan ritiene di intravedere una regia americana, i rapporti tra Ankara e Washington sono stati tesi e complicati. Il caso F-35/S-400 cade nel pieno di un tentativo di distensione condotto dalle rispettive diplomazie che Erdogan e Donald Trump puntavano a concretizzare all’imminente summit del G20. Ora la Turchia, storico partner della Nato, è arrivata a pensare l’impensabile: sostituire l’ultimo modello dell’industria aeronautica occidentale con i diretti concorrenti russi o cinesi. Ovvero, con i gioielli dei Paesi che Washington ritiene strategicamente rivali.

E se inizialmente il candidato numero uno pareva essere il Su-57 russo, ora nella corsa si è inserito anche il J-31 cinese. Caccia stealth che, probabilmente, nasce da un’operazione di retroingegneria compiuta su progetti Usa. “Nel 2016 venne divulgata la notizia che un 50enne cinese, tale Su Bin, era stato accusato dal dipartimento di Giustizia americano di tradurre dall’inglese al cinese i diversi fascicoli riservati delle società appaltatrici della Difesa statunitense che contenevano informazioni su alcuni armamenti dei nuovi caccia stealth”, sottolinea Formiche. Fatto sta che, vera o no quella informazione, l’industria cinese ha da quell’anno bruciato le tappe per ottenere vernici e materiali radar-assorbenti imprescindibili per i suoi nuovi jet che piacciono a Erdogan. Per cui il J-31, anche se inferiore agli F-22 Raptor e agli F-35, rappresenta comunque la risposta cinese allo sviluppo Usa”.

La sinergia tra Pechino e Ankara potrebbe espandersi anche in ambito miltiare, dopo che nei mesi scorsi non erano mancati incontri, summit e abboccamenti tra i rispettivi vertici della Difesa. La Turchia guarda con interesse anche all’avanzamento della “Nuova Via della Seta”, per la quale rappresenterebbe assieme all’Iran uno dei pivot principali e, come sottolinea Santoro, “rifiuta di spaccare la Cina per conto degli americani con il martello uiguro”, avendo abbassato i toni sulla repressione di Pechino contro i musulmani dello Xinjiang. Atteggiamento gradito a Pechino, dove vi sono smorzate le critiche di chi, come il generale Liu Yazhou, riteneva Ankara una minaccia ancora peggiore di Washington. Erdogan rilancia una vecchia ambizione del predecessore Turgat Ozal, che predicava una maggiore sinergia con l’Asia Centrale, e ricalibra il neo-ottomanismo dopo i disastri siriani. La Turchia punta a pensarsi come perno di uno spazio tricontinentale evitando l’eccessivo attaccamento a blocchi fissi e sfruttando la mutevolezza delle alleanze e le contingenze per giocare di sponda coi Paesi di taglia maggiore. Ovvero Stati Uniti, Russia e Cina. Affidandosi esclusivamente al suo fiuto tattico, tuttavia, Erdogan rischia di perdere di vista, una volta di più, il quadro strategico. Dimenticando che una politica estera equilibrista che cerchi di riaffermare le priorità del Paese e di ampliare la rosa dei potenziali alleati non può essere decisiva nel risolvere le contraddizioni del Paese, legate principalmente all’arresto della crescita economica, all’inasprimento del clima politico e alla spaccatura tra città e Anatolia profonda.

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