Gli ultimi anni sono stati connotati da un crescente raffreddamento dei rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti di Donald Trump e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Dal contenzioso sul ruolo di Ankara nella Nato, sempre più incerto, agli scontri economici dell’agosto scorso, quando il tycoon ordinò un vero e proprio attacco frontale alla lira turca, passando per i timori statunitensi di un consolidamento dell’asse tra la Turchia e la Russia, il rapporto tra i due leader è stato decisamente problematico.

Il più recente braccio di ferro ha riguardato la scelta turca di proseguire sulla strada dell’acquisto di missili russi S-400 per le proprie forze armate, vera e propria linea rossa per Washington, che definisce la mossa di Ankara incompatibile con la prevista fornitura di caccia F-35 allo storico alleato della Nato. Ma le questioni aperte sono numerose. Erdogan, ad esempio, si è schierato con l’alleato Qatar nella disputa del Golfo, andando a muso duro contro l’Arabia Saudita dopo il fallimento delle opposizioni siriane ostili a Bashar al Assad. A sua volta, il Raìs turco è apertamente ostile a Israele, che con Riad rappresenta il maggiore alleato di Washington in Medio Oriente. Tra Stati Uniti e Turchia rimane ancora aperta la questione dei dazi, che Trump sarebbe pronto a imporre per ridurre il deficit dovuto all’export commerciale di Ankara, principalmente manifatturiero. E anche il ruolo cruciale giocato dalla Turchia nelle rotte del gas russo diretto in Europa e nei progetti della “Nuova Via della Seta” cinese preoccupa, e non poco, gli strateghi statunitensi.

Una serie di dossier scottanti divide i due Paesi. Ma Erdogan e Trump sono intenzionati a recuperare le relazioni bilaterali partendo dai rapporti personali. E un buon punto di partenza potrebbe essere il G20 di Osaka di fine giugno, in cui Trump e Erdogan potrebbero incontrarsi per avviare il disgelo e preparare la strada a una visita di Stato di The Donald in Turchia entro fine 2019. Un anonimo portavoce del governo turco, contattato da Hurriyet, ha dichiarato che l’amministrazione Usa ha fornito “segnali positivi” a Erdogan affinché il colloquio abbia luogo. “Stiamo lavorando sulle agende – ha spiegato – Abbiamo avuto segnali positivi, ma non è ancora stato fissato un momento preciso. Potrebbero anche incontrarsi a margine dei lavori”.

La politica trumpiana basata sulle relazioni personali con i leader esteri potrebbe trovare applicazione anche nei confronti di Erdogan, che dovendo affrontare sfide importanti sul fronte interno potrebbe essere aperto a concessioni. Alla nuova involuzione antidemocratica segnalata dall’annullamento del voto a Istanbul si aggiunge la crisi economica, che azzoppa un cavallo di battaglia da sempre ritenuto vincente da Erdogan, a cui Ankara mira a porre rimedio con un piano di investimenti da cinque miliardi di dollari. Trump potrebbe offrire a Erdogan una tregua sulle dispute economiche in cambio di ripensamenti geopolitici e strategici. Ma la strada sarà sicuramente in salita, come conferma quanto scritto da Marta Ottaviani su Formiche: “La Turchia non sembra voler arretrare o tornare sui suoi passi. Proprio mentre si parla del possibile incontro fra Erdogan e Trump, il ministro della Difesa, Hulusi Akar, ha annunciato che personale militare turco è in Russia per partecipare a un addestramento sul sistema missilistico s-400. Akar ha sottolineato come la Turchia abbia assolutamente bisogno di quel sistema per difendersi da una minaccia terroristica crescente (…) Rimane da vedere come si regolerà la Turchia se Washington persisterà a bloccare la consegna degli F-35. Mosca ha già segnalato la propria disponibilità per vendere anche caccia da guerra e Ankara potrebbe decidere di accettare. Con tutte le conseguenze sulla Nato e gli equilibri mondiali”. Erdogan non sarà un cliente facile nemmeno per Trump.





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