C’è un grande assente nella disfida del divano tra Europa e Turchia: Angela Merkel. Forse molti non se ne sono accorti, ma il silenzio di Berlino di fronte all’affaire di Ankara è particolarmente interessante. Innanzitutto perché l’Unione europea è considerata una proiezione della potenza tedesca sul continente. Poi per le personalità coinvolte: Ursula von der Leyen, presidente di Commissione ma soprattutto ex delfina della Cancelliera come ministro della Difesa; ma anche il capo delegazione Ue in Turchia, Nikolaus Meyer-Landrut, ex consigliere di Merkel e ambasciatore tedesco in Francia. Insomma, vittima e “carnefice ombra” del pasticciaccio di Ankara sono tedeschi, ne è coinvolta direttamente l’Ue, eppure Merkel tace. Tace e soprattutto evita appositamente di commentare anche le parole di Draghi.

A confermarlo è la portavoce della leader tedesca, Ulrike Demmer, che rispondendo alla domanda sulle parole del premier italiano ha rilasciato un commento laconico: “Non commentiamo affermazioni di capi di Stato e di governo”. Non solo, a una domanda sul presunto “schiaffo turco”, la portavoce della Cancelliera ha confermato il sostanziale “no comment” dicendo direttamente di rivolgersi alla Commissione europea e al segretariato del Consiglio europeo.

Sembrerebbe insomma che a Berlino non abbiano alcun interesse a parlare di quanto accaduto ad Ankara. Né tantomeno di prendere le difese di Roma dopo che Draghi si è lanciato in un’accusa molto chiara rivolta al presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Frasi che hanno scatenato la rabbia della politica anatolica, specialmente filo-governativa, e che hanno soprattutto mostrato un certo atteggiamento sprezzante del presidente del Consiglio italiano rispetto alla neutralità dei rappresentanti europei sull’argomento. Prove di leadership in Europa? Sicuramente Draghi, con questa mossa, ha fatto intendere di non voler essere considerato il terzo elemento dell’asse franco-tedesco. Al contrario, con il credito ottenuto negli anni di lavoro alla Bce, il premier italiano può certamente ambire a un peso sempre maggiore nel consesso europeo, soprattutto grazie alla parabole discendente di Merkel e al tramonto dell’astro di Emmanuel Macron.

Ma attenzione a sottovalutare le mosse tedesche. Perché dietro il disinteresse mostrato dalla Germania sul caso di Ankara si nasconde una strategia molto precisa che vale la pena evidenziare. Tutto parte da un dato: Berlino ha interesse a mantenere aperto il dialogo diretto con la Turchia e non ha alcuna intenzione di bruciare il rapporto costruito con Erdogan.

Il motivo è triplice. Innanzitutto in Germania vivono milioni di turchi di prima e seconda generazione che in larga parte sostengono l’Akp di Erdogan o movimenti di stampo islamico o nazionalista. Questo impone chiaramente una riflessione anche su come reagire di fronte alle mosse di Erdogan e dei suoi alleati di governo. In secondo luogo, resta centrale il nodo migranti. Il regno di Merkel subì un vero e proprio terremoto quando la rotta balcanica venne inondata di profughi siriani (e non) lasciati transitare dalla Turchia. Il governo turco si accordò con l’Ue, allora a vera e unica trazione tedesca, per fermare il flusso in cambio di miliardi. La rotta si fermò, il cancellierato resse, e quel contratto siglato tra Europa e Turchia è diventato l’assicurazione per la sopravvivenza della grande coalizione in Germania, della fragile struttura Ue ma anche per il potere di Erdogan nelle trattative con Vecchio continente.

A queste questioni di ordine interno, c’è poi un problema di ordine internazionale che riguarda anche l’Italia. La Germania sa benissimo che la Turchia rappresenta un potere euro-asiatico di primaria importanza nella geopolitica mediterranea e del Medio Oriente. Berlino intrattiene con Ankara un rapporto strategico molto importante, considerato anche il fatto che il Paese anatolico è fondamentale nel bilanciare le potenze mediterranee: in particolare Francia e Italia. E avendo blindato le relazioni con la Grecia, con l’asse anatolico ha di fatto consolidato l’area di interesse balcanica nel Mediterraneo, costruendo un corridoio Nord-Sud che potrebbe vedere coinvolta anche l’Italia. Una scelta di ampio respiro che conferma l’idea dello sfogo mediterraneo per l’economia tedesca, ma anche per tessere una rete diplomatica molto più ampia di quella in cui è rimasta costretta in questi anni di potenza economica ma debolezza strategico-militare. Negli ultimi tempi, Berlino ha scelto una strada di graduale uscita dal suo guscio per mostrarsi anche più dinamica nelle aree di crisi: è coinvolta nel dialogo sull’Ucraina e in quello sul programma nucleare iraniano, ha ospitato la conferenza sulla Libia, ha iniziato a muoversi lentamente nel Sahel ed è riuscita a inserirsi anche nella gestione del conflitto siriano. E i rapporti con la Russia, altro partner turco, sono solidi.

La Turchia per la Merkel è un alleato prezioso: per questo dalla Germania non sono arrivate condanne a Erdogan e sostegno a Draghi. E la vita atlantica dell’Italia può far comprendere un nuovo schieramento strategico in Europa.