La Turchia di Erdogan non si ferma al Medio Oriente, ma vuole espandere la propria politica anche al di là del Mediterraneo e delle regioni al suo confine. Non c’è solo il Qatar in questa scelta, che comunque resta un esempio di una nuova strategia politica di Ankara nella sua idea neo-ottomana. Da qualche anno, le mire di Erdogan si sono spostate anche oltre la Penisola Arabica, arrivando dove finora nessuno si aspettava: in Somalia. Lo Stato somalo è, infatti, pronto a ospitare la più grande base militare turca in territorio straniero. L’investimento turco è stato di circa 50 milioni di dollari. L’inizio dei lavori di costruzione della base è avvenuto nel marzo del 2015 ed ora sta per essere completamente operativa. Ospiterà circa 500 soldati – ma potenzialmente ne può ospitare anche 1500 in caso di necessità – oltre al personale che vi sarà addestrato. La nuova base è nei pressi dell’aeroporto di Mogadiscio e occupa un’area di quattrocento ettari con una superficie di 32mila metri quadrati. Lo scopo principale della costruzione della base militare è quello dell’addestramento delle forze somale. L’esercito turco addestrerà le forze di Mogadiscio impegnate nella guerra ai miliziani, jihadisti di Al Shabab insieme alle truppe di altri paesi africani. Ma è un impegno che va ben oltre il semplice addestramento, diventando in realtà la certificazione di un complesso gioco politico di conquista da parte di Erdogan dello Stato ma anche dell’opinione pubblica stessa della Somalia.

La conquista della Somalia da parte di Erdogan non è un’idea nuova, ma il frutto di una strategia iniziata già da parecchi anni. Già quando ero ancora primo ministro, nel 2011, uno dei viaggi di Erdogan fu proprio in Somalia. Ed erano tempi in cui la comunità internazionale ancora considerava la Somalia uno Stato fallito, senza un governo chiaro e incapace di poter essere considerato un interlocutore politico. Erdogan invece fu uno dei pochi leader internazionali a confrontarsi con il governo di Mogadiscio in maniera paritetica, proponendo aiuti umanitari ed economici e nello stesso tempo costruendo una fitta trama di relazioni e interessi per riuscire a ottenere il più possibile da questa nuova alleanza. In pochi anni, gli aiuti della Turchia sono riusciti a salvare la Somalia dalla catastrofe. La situazione non è rosea, ma i negoziati di Londra di pochi mesi fa sul futuro della Somalia, hanno mostrato chiaramente come vi sia adesso il riconoscimento internazionale di un futuro che parli ancora di Somalia e non più uno Strato fallito e frammentato. Esistono regioni che sono autonome de facto, si pensi in particolare al Puntland e al Somaliland, ma ad ogni modo il governo centrale è stato invitato a parlare in qualità di unico governo di tutto il territorio somalo.

Gli aiuti umanitari di Erdogan, come del resto di tutti gli Stati, non erano chiaramente privi di un tornaconto politico e geostrategico. Essere presenti militarmente nel Corno d’Africa è ormai divenuto un elemento essenziale della politica internazionale. Le grandi potenze si battono per possedere un territorio in quell’area dell’Africa su cui costruire una base per il controllo dei traffici marittimi e sul terrorismo islamico. Per la Turchia, addestrare l’esercito somalo con le proprie forze significa costruirsi un prezioso alleato in tutto il continente africano, ma soprattutto avere il controllo su un’area che si affaccia sull’oceano Indiano, mare in cui passano la maggior parte dei traffici commerciali marittimi internazionali. Inoltre, la Turchia s’inserisce in un mercato tutto sommato vergine per i suoi prodotti e dalle ottime potenzialità, vista la quantità di potenziali consumatori. A dimostrazione di questa strategia ad ampio raggio promossa dalla Turchia, basti ricordare il ruolo svolto dalla Turkish Airlines, unica linea non africana ad aprire rotte verso Mogadiscio nel 2012, mentre tutte ormai avevano abbandonato la capitale. La Turkish ha ridato la possibilità ai somali di raggiungere le maggiori città africane, ma ha assunto la leadership dei cieli africani spostando una flotta di quattrocento aerei. Questo, insieme agli aiuti umanitari, ha consegnato il cuore dei somali alla Turchia, dando a Erdogan un Paese alleato ma soprattutto un popolo amico, che considera la Turchia come un Paese cui essere riconoscente.

La strategia turca appare per adesso vincente e dimostra la lungimiranza di Erdogan in politica estera, nonostante molti lo abbiano precocemente bollato come un semplice mitomane. Bisogna sempre tenere presente la differenza fra la politica interna di Erdogan e le sue visioni di grandezza neo-ottomana della Turchia. Possono essere criticate nel merito, ma è evidente come la Turchia sia negli anni riuscita a ritagliarsi uno spazio di autonomia che fino a pochi anni fa sembrava inesistente. Oggi la Turchia siede al tavolo dei grandi di Astana sul futuro della Siria, si permette di rapportarsi con i partner della Nato come fosse potenza leader, tratta con l’Unione europea sul tema dei migranti e riesce a strappare un accordo faraonico, ed è potenza in grado di incidere sulle sorti del blocco saudita al Qatar. Ora, dopo anni di studio e di preparazione del terreno, la Turchia è riuscita anche a crearsi una base militare in Somalia e a diventare il principale partner economico del Corno d’Africa insieme alla superpotenza cinese.

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