Silente, imparziale e sorniona, la Tunisia alla vigilia dell’ottavo anniversario della primavera araba, le cui evoluzioni all’epoca contribuiscono alla fine del governo di Bel Alì, mostra ancora segni di malcontento. Lo stesso che, nella seconda metà di dicembre del 2010, si manifesta sotto forma di proteste generalizzate che accendono poi tutto il mondo arabo. In questi anni il paese riusce a trovare una stabilità istituzionale, ma le speranze riposte in quei mesi di profondi cambiamenti in gran parte non hanno attuazione reale e concreta. Disoccupazione elevata, specie tra i giovani, povertà ancora molto alta, riforme imposte dal Fondo Monetario che portano ad austerità e nuove tensioni. Ecco lo specchio di una Tunisia silente per ora forse perchè disillusa. Ha provato a cambiare, ma i risultati non sono lusinghieri, specie in termini sociali ed economici. E vedendo la fine della vicina Libia, molti cittadini preferiscono tenersi stretta almeno una parvenza di stabilità, piuttosto che andare verso lo spauracchio di una vera deflagrazione.
Ma i segnali di malcontento restano, ci sono ed appaiono comunque gravi ed importanti. A partire da due elementi: l’avanzata dei movimenti vicini alla Fratellanza e la prospettata alta astensione degli elettori.
L’avanzata di Ennadha
Il 2019 è anno cruciale per la Tunisia. Si vote sia per il rinnovo del parlamento che per l’elezione del nuovo presidente. I sondaggi, commissionati dai vari partiti, iniziano a poter essere presi sul serio. Ed in alcuni casi anche a fare paura. Attualmente il governo guidato da Youssef Chahed accorpa i due principali partiti tunisini: Nidaa Tounes, a cui appartengono presidente e primo ministro, ed Ennadha. Laico il primo, islamista il secondo. Una sorta di “Grosse Koalition” in versione tunisina, resa necessaria dal fatto che entrambe le formazioni nel 2014 non ricevono i numeri necessari ad un governo in solitaria. Nidaa Tounes è il punto di riferimento della parte laica del paese, dunque anche dell’élite vicina ai passati governi di Bourghiba e Ben Alì. Ennadha invece è la sezione locale della Fratellanza Musulmana. E secondo gli ultimi sondaggi, è anche il primo partito nelle attuali intenzioni di voto. Un dato questo che mette in allarme non solo gli esponenti di Nidaa Tounes, ma anche molti rappresentanti della Tunisia più vicina alle idee laiche.
In realtà non sembrano all’orizzonte esserci pericoli per la tenuta dell’impianto attuale del paese. Ennadha è una formazione che tende più a virare verso il centro che verso posizioni estreme. Anzi, il fatto che Ennadha continui ad essere il punto di riferimento dell’islam politico in Tunisia è vero e proprio antidoto alla proliferazione di movimenti o gruppi ancora più integralisti. Inoltre Ennadha accetta l’impianto laico del paese sia nella Costituente eletta nel 2011, sia tra le condizioni per l’ingresso nell’esecutivo con Nidaa Tounes. Il problema però c’è ed i sondaggi lo evidenziano e riguarda la collocazione della Tunisia. Ennadha sviluppa negli anni, come scrive Riccardo Fabiani su Limes, una “via autonoma” all’interno della fratellanza musulmana evidenziando le peculiarità di un paese rivolto verso occidente come la Tunisia. Ma non rinnega l’appartenenza all’islamismo, seppur politico e non violento. Né tanto meno i dirigenti del partito guidato da Rashid Ghannushi disdegnano i soldi che arrivano dal Qatar.
Il pericolo è che anche un paese come la Tunisia, laico e con una società dalla forte connotazione laica, inizi a virare politicamente sempre più verso il golfo e, in particolare, verso gli emiri che finanziano la fratellanza. Da giorni, ad esempio, tiene banco la notizia della presenza del figlio del presidente tunisino, Hafez Essebsi, a Doha. Il primogenito del capo di Stato si troverebbe in Qatar per negoziare circa la crisi di governo all’orizzonte, con Ennadha pronta ad uscire dall’esecutivo forse spinta anche dai sondaggi. Per la verità la circostanza viene smentita, i vertici di Nidaa Tounes affermano che non c’è nessuna mediazione con il Qatar. Ma il fatto politico rimane: Doha imperversa sempre di più nello scacchiere tunisino e, con essa, tutta la galassia ruotante attorno la Fratellanza Musulmana.
Lo spauracchio dell’astensionismo
Ma se i sondaggi sulle intenzioni di voto potrebbero riservare sorprese ed essere ribaltati nei prossimi mesi, non appare invece così per quanto riguarda invece l’astensione. I numeri appaiono in tal senso già ben delineati. Per quanto riguarda le elezioni legislative, soltanto il 34% degli elettori vorrebbe recarsi alle urne. La stragrande maggioranza dei cittadini fa dunque chiaramente intendere che il prossimo anno vuole diseratare le urne come già successo in occasione delle amministrative di maggio. Una percentuale più elevata invece viene registrata per le presidenziali, visto che andrebbe a votare attualmente il 42%. Sempre però ben al di sotto della metà degli elettori. Una disaffezione ben evidente sia verso i partiti che, nel complesso, verso il sistema multipartitico instauratosi dopo le proteste di otto anni fa.
Un elemento di non poco conto, oltre che pericoloso. Il dissenso in Tunisia trova infatti sempre meno rappresentanza politica, una circostanza questa che potrebbe portare a nuove proteste o, peggio ancora, al radicamento sul territorio di gruppi estremisti. Si sa bene infatti come spesso i reclutatori jihadisti trovino manforte nel disagio sociale ed economico dei paesi interessati dal fenomeno islamista. E per una nazione, come la Tunisia, che nonostante i suoi connotati laici ha prodotto negli anni passati un numero record di foreign fighters tra le file dell’Isis, tutto ciò non può non suonare come un autentico campanello d’allarme.