Va bene il vantaggio conferito dal sistema a doppio turno ai partiti che si oppongono ai lepenisti, ma per il presidente della Repubblica in carica, con i numeri delle elezioni regionali, persino raggiungere il ballottaggio sarebbe un successo. La presidenza di Emmanuel Macron è in crisi. A certificarlo sono i risultati dell’ultimo scrutinio. Ci si attendeva una flessione, ma non un calo così drastico. I macroniani o macronisti, che dir si voglia, sono stati sconfitti ovunque. La sensazione è che il voto moderato si sia spostato in larga parte sui Repubblicani. Per quanto anche la clamorosa astensione abbia di sicuro rappresentato un fattore.

Una scena più significativa delle altre: nella Regione di Hauts-de-France, chi ha votato per En Marche!, secondo le indicazioni dei dirigenti locali – come raccontato dall’Adnkronos – , dovrebbe votare adesso per Xavier Bertand, leader repubblicano in ascesa che, soprattutto in caso di vittoria a questo giro, potrebbe accreditarsi in via definitiva come candidato all’Eliseo. Si tratta di un segnale, ma è anche un appello. Nel caso in cui Marine Le Pen dovesse davvero arrivare ad un passo dalla vittoria presidenziale, come ventilavano alcuni sondaggi prima di queste regionali, il fronte che si è sempre unito in funzione anti-lepenista, cioè quello che in Italia avremmo chiamato “arco costituzionale”, dovrebbe evitare di rompersi. Questo è il sottotesto della mossa dei macronisti nella Regione di Hauts-de-France. Anche perché c’è sempre l’eventualità – questo è il resto del sottotesto – che ad arrivare al ballottaggio sia Emmanuel Macron.

Ma quel 10%, per quanto le persone non recatesi alle urne rappresentino quasi il 70% dell’elettorato totale, è qualcosa in più di un risultato magro. En Marche! è un partito personale. Nel senso che, al netto di Emmanuel Macron e del suo consenso sul piano nazionale, è difficile individuare un vero e proprio radicamento territoriale, come avviene invece per i partiti tradizionali del sistema transalpino. Quando Macron ha creato En Marche!, la sinistra socialista era in disarmo, dopo l’esperienza di Francois Hollande e la debole candidatura di Benoit Hamon. Nel contempo, un’inchiesta abbattutasi su Francois Fillon, cattolico e repubblicano (i sondaggi lo hanno dato in largo vantaggio sino alla comparsa di uno scandalo in piena competizione), aveva  ridimensionato le chance presidenziali per il centrodestra. Il momento, insomma, era proficuo.

Adesso il quadro è cambiato. La sinistra socialista non si ancora ripresa dagli anni di Hollande, ma appare in risalita. I Repubblicani, dopo un lavoro certosino sulla loro identità, sembrano aver trovato il leader che speravano in Bertrand. Marine Le Pen è sempre lì, ma quasi per paradosso, e nonostante il coro di giubilo per le proiezioni sondaggistiche, potrebbe uscire ridimensionata al pari di Macron da queste elezioniregionali. Non è più detto, insomma, che la sfida per il 2023 sia scontata, cioè veda opporsi i macroniani ai lepenisti. Il presidente della Repubblica, nello specifico, potrebbe subire una duplice erosione dei consensi: da destra, dove Bertrand sembra in grado di attrarre l’elettorato centrista che cinque anni fa ha preferito Macron all’opzione Fillon, e da sinistra, dove i socialisti puntano a riconquistare il voto del loro storico elettorato.

E tutto questo senza neppure nominare i Verdi (12.5% a questo giro, così come sottolineato dall’Agi), che sono in crescita un po’ in tutta Europa, o la France Insoumise di Melenchon, che però guarda altre fasce economico-sociali per rafforzare la sua azione ed accrescere i consensi. Macron ha bisogno di ribaltare l’esito di queste regionali, contando magari sul fatto che la maggioranza degli astenuti sia composta da suoi elettori. La medesima speranza di Marine Le Pen e del suo Rassemblement National. Una vittoria dei Repubblicani, ai nastri di partenza, era esclusa. Alle elezioni presidenziali francesi manca un solo anno.





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