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I parenti delle vittime degli attentati dell’11 settembre non ci stanno ad accettare che l’argomento “terrorismo” venga utilizzato – senza rispetto per la verità – come mero strumento per fare politica. Il mondo sunnita ha provato a salvare la faccia cercando di scaricare tutte le accuse di supporto al terrorismo sul piccolo stato qatariota. Con il beneplacito del presidente degli Stati Uniti che, in questo modo, può continuare indisturbato a intrattenere rapporti con Riyadh, di fatto alleata di Washington come gli schieramenti nel conflitto siriano hanno fatto capire lasciando poco spazio ai dubbi.

La scelta di trovare un capro espiatorio su cui riversare tutte le accuse di supporto al terrorismo è stata presa nella speranza di giustificare, appunto, l’alleanza tra America e Arabia Saudita, il tutto parte del progetto di isolamento a danno dell’Iran sciita. Il colpo sparato da Trump e dal regno dei Saud, però, rischia di avere un forte “rinculo” a danno di entrambi. In America le famiglie che hanno perso i loro parenti durante gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno deciso di alzare la voce e di non accettare il denso velo di ipocrisia che si stende ogni volta che si parla di terrorismo. È infatti giunta notizia che i parenti di coloro che hanno perso la vita durante l’attacco delle Torri Gemelle abbiano intenzione di inserire anche gli Emirati Arabi Uniti nella lista dei paesi che hanno fornito il loro supporto agli attentatori.

Nel settembre del 2016 il Congresso ha approvato il Justice Against Sponsor of Terrorism Act (JASTA), legge che permette a coloro che hanno perso dei familiari durante gli attentati di chiedere un risarcimento agli Stati accusati di aver favorito gli episodi, indimenticabili, del 2001. Il governo americano ha sempre mostrato la sua contrarietà nei confronti di questa legge. Basti pensare che ci sono voluti 15 anni dal quel maledetto 11 settembre per approvare la risoluzione contro gli sponsor del terrorismo islamico. Questo perché l’Arabia Saudita ha sempre fatto di tutto per bloccare il JASTA, che costerebbe ai Saud cifre spaventose. A parlare delle pressioni fatte dai lobbisti emiratini e sauditi è stato lo stesso Dipartimento di Stato americano, che in più occasioni ha confermato come i funzionari di questi due paesi abbiano lavorato senza sosta per evitare che la legge contro gli sponsor del terrorismo venisse implementata. Il Daily Telegraph il 21 giugno ha pubblicato un articolo in cui vengono riproposte le mail tra Yousef al-Otaiba, l’Ambasciatore degli Emirati negli Stati Uniti, e alcuni funzionari americani. Secondo il Telegraph al-Otaiba ha minacciato Washington di interrompere la cooperazione tra i loro rispettivi dipartimenti di intelligence in caso gli EAU vengano inclusi nella lista contenuta nel JASTA.

Ma il coinvolgimento degli Emirati è pressoché innegabile: innanzitutto 2 dei 19 dirottatori e affiliati che hanno fatto schiantare gli aerei sul Pentagono e sulle Torri Gemelle provenivano da un paese degli Emirati, mentre i restanti erano sauditi. Nel documento pubblicato nel luglio 2004 dalla Commissione d’indagine sull’11 settembre, gli EAU vengono citati più di 70 volte anche perché, per esempio, la maggior parte degli attentatori è transitata a Dubai prima di arrivare negli Stati Uniti. Senza contare che ci sono prove – tutte riportate sul documento sopracitato – che la maggior parte del denaro inviato per finanziare i dirottatori come Mohammed Atta sia partito proprio da Dubai, o meglio dalla Dubai Islamic Bank.

Le famiglie delle vittime recentemente sono tornate a rivendicare il diritto alla giustizia. Non capiscono come sia possibile che, dopo più di 13 anni dalla pubblicazione del documento della Commissione d’indagine sull’11 settembre, non si siano prese contromisure nei confronti degli Emirati Arabi Uniti. Anche il Qatar non è certo privo di colpe: basti pensare che una delle menti dell’attacco terroristico, Khalid Sheikh Mohammed, fosse un funzionario del governo qatariota durante gli anni precedenti al 2001. Quello che non accettano le famiglie di quei 3mila morti – caduti in terra americana a causa dal terrorismo islamico – è che il governo statunitense continui indisturbato a intrattenere rapporti con l’Arabia Saudita e i paesi degli Emirati Arabi Uniti, pur essendo riconosciuto il ruolo da protagonisti che hanno svolto per portare a termine il più grande attacco terroristico all’interno dei confini americani della storia statunitense. L’avvocato Jim Kreindler, che rappresenta 850 vittime nel caso contro gli sponsor del terrorismo, ci tiene a sottolineare che, se proprio si deve indicare il primo colpevole per quanto riguarda gli attentati terroristici, questo sarebbe proprio il regime saudita.

Trump e i Saud hanno provato a scaricare tutte le responsabilità del supporto al terrorismo sul Qatar. Ora, però, il tentativo di nascondere le mani sporche di sangue del mondo sunnita addossando le responsabilità sul solo stato qatariota rischia di ritorcersi contro di loro. Nell’eventualità che le famiglie delle vittime riescano a far includere gli Emirati nella lista del Justice Against Sponsor of Terrorism Act, il presidente americano non solo non sarebbe riuscito a “coprire” i suoi partner strategici, ma potrebbe anche aver dato nuova vita a un argomento che, forse (per chi lo deve gestire nello studio Ovale), era meglio lasciare nel dimenticatoio.

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