Sotto la superficie dei sondaggi che vedono Joe Biden in vantaggio su Donald Trump si muovono malumori e mal di pancia. Dopo una partenza non brillante nelle primarie, l’ex vice di Barack Obama è stato abile a costruire una coalizione di forze interne al partito e a conquistare la nomination dem battendo Bernie Sanders. Dopo il ko il senatore socialista del Vermont ha accettato di collaborare alla campagna di Biden molto più di quanto fatto quattro anni prima con Hillary Clinton. Un’unione d’intenti per battere il tycoon ad ogni costo. I comitati dei due rivali hanno anche lavorato a un elaborato piano economico che tenesse insieme tutte le istanze. Il problema è che ora sembrano aprirsi delle crepe all’interno di questa coalizione, crepe che paradossalmente potrebbero diventare vere e proprie fratture nel caso di una vittoria dem nel voto di novembre.

Biden rassicura Wall Street e fa arrabbiare i liberal

Per capire quanto questi mal di pancia siano reali basta seguire i soldi. Nel piano economico disegnato dai team di Biden e Sanders, ad esempio, sono previste delle misure per concedere agli uffici postali di condurre attività bancarie, ma anche provvedimenti che permettano alla Federal Reserve di garantire ad ogni americano un conto in banca. Tutta una serie di promesse che hanno fatto preoccupare i banchieri.

Per questo motivo, ha scritto il Washington post, all’inizio di settembre alcuni membri del comitato elettorale di Biden hanno avuto telefonate riservate con alcuni leader di Wall Street. Il contenuto delle telefonate spiegava che quelle proposte non sarebbero state al centro dell’agenda Biden. Uno dei banchieri ha raccontato le telefonate in modo molto diretto: «In pratica di hanno detto “sentite, queste proposte sono solo un esercizio per tenere il popolo di Elizabeth Warren tranquillo, ma non dovete leggerci molto dietro”».

Ovviamente la campagna di Biden ha negato che le chiamate siano mai avvenute, ma la frizione tra i dem rimane. Restando sempre in ambito economico c’è la delicata questione della spesa pubblica, un tema sempre molto delicato in campagna elettorale. Secondo l’ex senatore Ted Kaufman, che nel 2009 prese il posto proprio di Biden diventato nel frattempo vice presidente, un eventuale presidenza democratica sarebbe finanziariamente prudente, proprio per l’esplosione del deficit del governo federale nei prossimi anni. Kaufman ha raccontato al Wall Street Journal che difficilmente ci sarà un grande aumento si spesa: “Ci saranno fondi limitati per fare quello che vogliamo fare”.

Anche in questo caso la campagna del candidato dem ha respinto le affermazioni. Uno dei suoi portavoce Andrew Bates ha distinto la spesa a breve termine per combattere la pandemia e i rischi del collasso economico dalle spese di lungo corso. In tutto questo Biden a giugno presentava la sua agenda come un piano di grande impatto, paragonandolo a quello di Roosevelt negli anni 40, salvo poi essere parzialmente corretto dal suo comitato spiegando che Biden sarà attento al deficit federale.

Biden e il viaggio tra sinistra e centro moderato

Queste tensioni sotterranee nascono dalla strategia che Biden ha portato avanti nei lunghi anni di lavoro al Senato e che sta ora applicando alla campagna elettorale. Lui e diversi collaboratori sottolineano spesso come il suo approccio alla politica sia più incentrato sulla mediazione che sulla purezza ideologica. Per questo si è mostrato attento a fare promesse a tutti. Da un lato si è lanciato in dichiarazioni pubbliche molto forti e dall’altro ha mandato i suoi aiutanti a calmare i critici con un lavoro dietro le quinte, come avvenuto con i banchieri di Wall Street.

Questo potrebbe funzionare in chiave elettorale, ma sicuramente aprirà battaglie in caso di vittoria dem sia alla Casa Bianca che al Congresso. Battaglie su molti temi. La questione razziale ad esempio, per la quale Biden si è speso molto pur rigettando molte richieste del movimento Black lives matter. Ma anche gli aspetti legati al commercio o alla sanità. Per non parlare dell’ambiente. Qualche settimana fa, nel corso di un comizio a Pittsburgh, ha respinto le accuse di Trump secondo cui Biden sarebbe favorevole a una muratoria contro il fracking, la pratica per estrarre petrolio dalle rocce. In realtà durante le primarie l’ex numero 2 di Obama si era detto favorevole a venire incontro alle istanze degli ambientalisti e di volerlo ridurre, ma ovviamente in uno Stato come la Pennsylvania dove il fracking fornisce migliaia di posti di lavoro è arrivata una parziale marcia indietro.

Biden, nel promettere di “restaurare l’anima degli Usa”, pensa che sia necessario riaprire quei meccanismi di collaborazione tra repubblicani e democratici che sapeva far funzionare quando si trovava al Congresso. Il problema è che nell’America polarizzata di oggi questo potrebbe non funzionare. Non a caso l’ala liberal dei dem spera di potersi liberare dei meccanismi che regolano l’ostruzionismo nel caso di una conquista simultanea di Senato e Camera dei rappresentanti, un’idea che anche l’ex presidente Barack Obama ha ormai fatto sua.

I dubbi liberal sul candidato dem

Per la campagna di Biden non ci sarebbero contraddizioni nell’azione del candidato, in fondo, dicono, l’ex VP fa quello che che dovrebbe fare ogni buon candidato: spinge le idee generali per creare consenso, lasciando lo spazio per negoziare i dettagli. Il problema è dato dal livello di fiducia soprattutto da parte della sinistra del partito. Alcuni di loro, quelli più pragmatici, dicono di essere contenti che Biden si sia avvicinato alle loro richieste, soprattutto sul tema della sanità. Non a caso il suo team ha accettato di lavorare per fare in modo che i cittadini a basso reddito siano iscritti in automatico all’opzione pubblica pensata da Biden e che il processo venga poi gestito da Medicare e non da compagnie private. Ma altre frange liberal vicine a BLM chiedono impegni più concreti temendo grossi passi indietro dopo un’eventuale vittoria.

Il nodo di tutto sta nel peso che le varie correnti danno ai piani elaborati della task force composta dagli uomini di Biden e Sanders. Per i primi si trattano di semplici raccomandazioni, di spunti da elaborare poi con trattative bipartinan. Per i secondi, invece, si tratta di piani vincolanti per il programma di governo.

Anche Sanders alza la voce

Che le acque siano agitate è dimostrato anche da un recente attivismo di Bernie Sanders. Il senatore del Vermont ha espresso la sua preoccupazione per la campagna presidenziale di Biden esortando il team del candidato a intensificare la sua azione, in particolare sulle richieste degli elettori liberal. Secondo lui l’approccio vago e centrista rischia di regalare la vittoria a Trump. Secondo lui per evitare tutto questo si dovrebbe parlare di più dei piani fiscali, della riforma sanitaria e fare campagna con esponenti popolari dell’area più a sinistra, Alexandria Ocasio-Cortez in testa.

Secondo quanto riportato sempre dal Washington Post per il momento queste conversazioni avvengono privatamente, ma anche pubblicamente non sono mancati gli appelli. Secondo Sanders la campagna non dovrebbe essere condotta seguendo Trump ma con posizioni più propositive. Il punto, ha detto in diverse interviste, è che bisogna parlare di temi concreti, di salario minimo, di estensione della copertura sanitaria rivolgendosi anche agli elettori ispanici, segmento che ha votato per Sanders durante le primarie.

Cosa c’è dietro i malumori

Il fatto che Sanders si sia esposto, sia privatamente che pubblicamente, mostra un nervo scoperto. Con ogni probabilità è la rappresentazione plastica della frustrazione dei liberal, che temono di aiutare Biden a vincere restando poi scoperti. Un timore suffragato dal percorso centrista intrapreso dall’ex senatore del Delaware.

Per Biden rimanere moderato è necessario per fronteggiare gli attacchi di Trump che lo dipingono come un candidato in mano alla sinistra radicale. Quello che è certo è che per il momento Biden non intende spingere su temi molto sensibili come il taglio dei fondi alla polizia o sulle istanze ambientali che possono costare posti di lavoro (e quindi voti).

Secondo Sanders è necessario spingere sul populismo economico invece che lavorare solo in contrapposizione a Trump o sulla costruzione di una campagna intorno agli errori e alle critiche del tycoon. I timori del vecchio socialista si estendono a tutta la campagna, nonostante i sondaggi nazionali sorridano a Biden. C’è infatti un certo nervosismo perché gli stessi sondaggi mostrano corse serrate in molti Stati chiave. Un modo per ravvivarli, secondo lui, è quello di riportare al centro i temi cari alle correnti più liberal. Sanders vorrebbe anche che quella fetta del partito sia rappresentata in modo più diretto. Si è infatti detto molto preoccupato per il mancato coinvolgimento di alcuni membri della sua piattaforma che potrebbero aiutare il seguito di Biden, in particolare la deputata Ocasio-Cortez, relegata a una piccolissima apparizione durante la Convention dem di luglio scorso.