Le elezioni di medio – termine passano per tre distinte competizioni. Quella riguardante la Camera bassa prevede il rinnovo di tutti e 435 i seggi a disposizione. Oggi la maggioranza è colorata di blu repubblicano, ma la maggior parte dei sondaggi registra l’alta probabilità di un ribaltone. La rimonta dei Dem in vista delle presidenziali, insomma, potrebbe partire da qui. Le rilevazioni, in generale, annotano l’esistenza di un distacco abbastanza cospicuo su base nazionale: 9 – 10 punti tra asinelli ed elefantini. Ma in un sistema federale conta poco.
I dati davvero importanti, considerando pure il Gerrymandering, cioè la modalità di disegno degli spazi elettorali, sono quelli relativi ai collegi. Conviene fare un discorso preciso: esistono gli scranni che le statistiche tendono ad assegnare per storia elettorale e tendenze e quelli considerati toss – ups, quelli cioè dove la distanza è troppo esigua per poter procedere con un’assegnazione preventiva. E qui diviene comodo buttare un occhio su Real Clear Politics: mentre scriviamo, si ritiene che 202 seggi siano già colorabili di blu democratico. 194, invece, sono quelli macchiati di rosso sulla mappa. 39, allora, saranno gli scranni ancora contesi tra le due formazioni politiche. Il quadro sembra abbastanza consolidato: c’è bagarre all’interno di quasi ogni singolo stato, ma alla fine dovrebbero essere i democratici a prevalere nel confronto complessivo. Il che farebbe venire non pochi grattacapi a Donald Trump, chiamato a dare seguito alle tante riforme promesse e non ancora portate a termine. Attenzione: quando c’è il Tycoon di mezzo, bisogna valutare anche il suo stato di forma. L’azione del presidente degli Stati Uniti d’America è supportata dal 43% degli americani. Ma l’indicatore relativo al Grand Old Party sembra risalire la china di minuto in minuto. Chi consiglia di prestare attenzione, potrebbe non essere in errore. Trump, del resto, non era dato per vincente neppure due anni fa.
Vale la pena far notare qualche dettaglio: nonostante buona parte dei collegi sia ancora in fase di attribuzione e nonostante gli americani debbano ancora recarsi alle urne, non sono pochi i sondaggisti a consegnare la vittoria nelle mani dei Dem. La quota di 218 sarebbe stata raggiunta da tempi non sospetti. Le presidenziali, come detto, dovrebbero aver insegnato l’utilizzo della prudenza. A incidere su queste elezioni, ancora, potrebbe essere la demografia. Si calcola che le cosiddette minoranze, nel corso del tempo, siano destinare ad assumere un ruolo sempre più determinante. Le stesse che gli asinelli hanno provato a rappresentare mediante la selezione di candidati . Poi c’è il “fattore Paul Ryan”: il presidente dell’Assemblea, in quota repubblicana, ha rinunciato a correre. Perché? Alcuni analisti ritengono sia stata una sorta di fuga preventiva, dovuta al disastro verso cui il Partito Repubblicano starebbe andando incontro. Altri, addirittura, ritengono che il giovane leader si sia fatto da parte per poi mettere in discussione la leadership di Trump in funzione del 2020. Ryan non è il solo: circa trenta ex deputati del Gop hanno evitato di presentarsi ai nastri di partenza. Per capire se siano o meno chiacchiere da bar, bisognerà aspettare ancora qualche ora. Intanto i due se le stanno metaforicamente dando su Twitter: “Paul Ryan – ha tuonato The Donald – dovrebbe concentrarsi a mantenere la maggioranza piuttosto che dare le sue opinioni sulla cittadinanza di diritto di nascita, qualcosa di cui non sa nulla”.
L’atteggiamento sembra quello di chi si lecca le ferite prima ancora di aver ricevuto qualche colpo. In casa democratica, invece, si guardano bene dallo stappare spumante: non paga mai. Chiedete alla presidente in pectore Hillary Clinton, che nel frattempo non ha escluso l’ipotesi di riprovarci in futuro. Agli asinelli andrebbe chiesto chi sarà, in caso di vittoria, l’esponente deputato ad alzare il brindisi. Quello che, con buone probabilità, sarà chiamato ad affrontare Donald Trump tra un due anni esatti. Per rispondere al quesito occorreranno le primarie. Prima di allora, però, c’è un’ultima verifica: gli americani hanno davvero deciso di virare verso il blu?