Le elezioni parlamentari, che si svolgeranno questa domenica, determineranno il futuro politico di Budapest e del controverso Primo Ministro Viktor Orban, al potere da dodici anni. Orban guida il partito nazional-conservatore Fidesz, noto per le posizioni euroscettiche e gli ottimi rapporti intrattenuti con la Russia. A sfidarlo ci sarà una grande coalizione formata dai partiti di opposizione. Socialisti, socialdemocratici, verdi, liberali e post-fascisti hanno unito le forze e presenteranno un candidato unico in tutte e 106 le circoscrizioni elettorali, sperando di ottenere i voti contro il crescente autoritarismo e la corruzione di Fidesz. A guidarli ci sarà Peter Marki-Zay, 49 anni, sindaco conservatore di una piccola città, padre di sette figli e cattolico praticante. Le élite liberali ed urbane, che in passato sono state sconfitte da Orban, hanno deciso di cambiare tattica e di affidarsi ad un volto in grado di raccogliere voti anche nelle zone rurali.

Il ruolo di Orban

L’Ungheria è il primo Stato membro dell’Unione Europea e della Nato ad indire elezioni dallo scoppio della guerra in Ucraina e la campagna elettorale ha risentito di quanto sta accadendo sullo scenario internazionale. Orban ha condannato quelle che ha definito “le azioni militari” della Russia e non si è opposto alle sanzioni volute dall’Unione Europea perché è consapevole della ferma condanna dell’invasione da parte dell’opinione pubblica ungherese. Le parole di condanna pronunciate da Orban sono rimaste, però, solo parole e vanno comunque inquadrate in un contesto di più generale ambiguità. Il Primo Ministro ha sfruttato la presa che ha sui media nazionali per lanciare un ramoscello di ulivo a Putin e per dipingersi come un candidato “della destra a favore della pace” in contrasto con l’opposizione, come riportato dal Lowy Institute, “di sinistra a favore della guerra”. Orban ha chiarito che continuerà ad importare il gas russo, che non porrà fine all’allargamento della centrale nucleare di Paks, realizzato dalla società statale russa Rosatom ed ha espresso il proprio apprezzamento per la posizione diplomatica espressa dalla Cina. Non sono mancate alcune staffilate ai Paesi Nato ed alla loro scarsa propensione ad investire sulle spese militari.

I problemi dell’opposizione

La coalizione è minata da due problemi: la mancanza di unità e la presenza di fratture interne. I partiti hanno discusso per settimane in merito alla distribuzione dei propri candidati sulle liste elettorali. Marki-Zay ha provato a forzare la mano cercando di imporre la presenza del suo partito, che non aveva preso parte alle primarie, sulle schede elettorali. La mossa ha stizzito gli alleati che hanno fatto resistenza nel timore che ciò avrebbe potuto accrescere il suo peso politico personale. Lo stesso Marki-Zay è stato costretto ad ammettere quanto sia difficile far dialogare una coalizione che ha uno spettro ideologico ampio e dove è complesso trovare una quadra per la stesura di un programma elettorale comune. I due partiti più grandi, la Coalizione Democratica e Jobbik, non avrebbero nemmeno voluto unirsi allo schieramento dopo che i propri candidati erano stati sconfitti alle primarie. I continui contrasti sono un fattore di debolezza che è reso ancora più evidente dall’efficienza organizzativa e dalla coerenza mostrata da Fidesz. Un ulteriore ostacolo è costituito dalla manipolazione dei distretti elettorali che consente a Fidesz di vincere con uno scarto minore di voti rispetto a quelli che sarebbero necessari ai suoi rivali.

Le rilevazioni demoscopiche realizzate negli ultimi dieci giorni indicano che Fidesz è in testa alle preferenze degli elettori con una percentuale di voti stimata tra il 49 ed il 50 per cento dei consensi. La lista dell’Opposizione Unita insegue e dovrebbe attestarsi in una forchetta compresa tra il 41 ed il 46.5 per cento dei voti.  Si tratta di un distacco che, in alcuni casi, è compatibile con il margine di errore delle rilevazioni ma le possibilità che si verifichi un testa a testa sono comunque limitate.

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