Nel Regno Unito, in vista del rinnovo del Parlamento europeo, si vive in una sorta di limbo attendista. Le elezioni, salvo la ratifica dell’accordo per l’uscita dall’Ue entro la scadenza del 22 maggio, che è l’ennesima proroga sul calendario, avranno luogo.

Un imprevisto che costringe gli elettori britannici a guardarsi attorno, ma pure i gruppi parlamentari e le alleanze europee a riprendere in mano una calcolatrice. Gli esponenti che verranno eletti in Uk, forse, avranno giusto il tempo di fare capolino tra gli scranni di Strasburgo e Bruxelles, ma intanto si siederanno lì, per un periodo di tempo che a oggi non è definibile, a votare e a partecipare alle sedute come tutti gli altri colleghi. Potrebbero contribuire a eleggere il presidente dell’assise continentale, per citare uno scenario. Sempre che non decidano di svolgere un ruolo figurativo sino alla decisione definitiva sulla Brexit.

Bisogna fare i conti con l’apporto che i deputati britannici potranno dare. Non era stato messo in conto e, a meno di un mese dall’appuntamento elettorale, in realtà ancora non è assodato. Ma se Theresa May non chiude la pratica nel tempo indicato, le elezioni si terranno eccome. Mentre scriviamo sembra difficile sostenere il contrario.

Questa settimana, intanto, otterremo qualche prima risposta politico – elettorale: venerdì si vota per le elezioni locali, che interessano almeno sei città su cui vale la pena porre un asterisco. Sulla Sir è possibile appurare portata e dettagli di questo appuntamento. Il quadro, guarda caso, è polarizzato. A rischiare il tracollo sembrano essere i partiti tradizionali, con quello dell’attuale premier che potrebbe subire una vera e propria o una parziale debacle.

Nigel Farage pensava di aver fatto tutto quello che si era proposto. L’Ukip ha smesso di esistere dopo il referendum del 23 giugno 2016. Poi però le cose sono andate come sappiamo. Allora il vero fondatore del populismo europeo, il primo che è riuscito a declinare sul pratico la polemica profonda contro le istituzioni sovranazionali, la prima sponda di Donald Trump, ha rispolverato la sua battaglia, fondando il Brexit Party,che è, con il 27%, primo nei sondaggi. Ha fatto la sua comparsa anche una formazione politica ultra – europeista: Change Uk, che per ora è dietro, caldeggia l’organizzazione di un secondo referendum.

Poi ci sono i Tories, per i quali ci siamo limitati a segnalare un pericolo di caduta, ma sui quali andrebbe fatto un ragionamento esteso, citando la futuribilità di una leadership targata Boris Johnson, e i laburisti di Jeremy Corbyn, che nelle rilevazioni statistiche viaggiano su percentuali non altissime, ma comunque in grado di far sognare il Pse. Con un distinguo: il politico britannico e i suoi sono ben distanti da chi, tra i socialisti del Vecchio continente, ritiene positivo l’andazzo neoliberal dei tempi odierni. Ma chi potrà stupire l’Europa, ancora una volta, è Nigel Farage. che sembrava essere entrato in regime di prepensionamento politico.

Sarebbe quantomeno curioso se l’Unione europea, dovendo elencare i parlamentari del Regno Unito eletti nell’assise continentale, scoprisse, il 27 maggio, di dover fare i conti con una pattuglia tanto euroscettica quanto rilevante da un punto di vista numerico.

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