Joerg Meuthen non ha dubbi: l’uomo giusto per guidare la Commissione europea dal 2019 è Matteo Salvini. Secondo quanto riportato dal Frankfurter Allgemeine Zeitung l’europarlamentare di Alternative für Deutschland avrebbe accolto con favore la possibile di candidatura del leader leghista, e attuale ministro dell’Interno, per il posto ora occupato da Jean-Claude Juncker. Per il numero tre dell’Afd, il vicepremier italiano rappresenterebbe una ventata di novità rispetto ai candidati della vecchia politica.
Il nome di Salvini è tutt’altro che casuale, come ha dimostrato la visita in Italia della leader del Rassemblement national (dopo il cambio di nome da Front national) Marine Le Pen avvenuto all’inizio di ottobre. Il successo elettorale con l’ingresso nel governo della Lega è stata la dimostrazione che il fronte sovranista può entrare nella stanza dei bottoni, e che con le elezioni del 2019 può farlo anche a livello europeo. La crescente ostilità contro la burocrazia di Bruxelles, ben incarnata dai volti della Commissione, verrà cavalcata da tutti i partiti euro-scettici.
Sarebbe però un errore pensare che il voto alle formazioni populiste sia un mero voto di protesta. Le percentuali della Lega, o il successo elettorale di Viktor Orban in Ungheria, sono la dimostrazione che il modello europeo non ha convinto appieno l’elettorato e che ora i cittadini sono pronti a riprendersi parte della sovranità che era stata ceduta all’Unione. Segni di un possibile ribaltone sono apparsi in tutto il continente, indice che il malessere dei cittadini riguarda anche i governi locali.
L’avanzata dei partiti sovranisti
Quelli che fino a una decina di anni fa venivano derubricati come piccoli partitini oggi hanno via via conquistato terreno. Oltre alla Lega e al Fidesz di Orban, ci sono almeno altri quattro esempi in cui i partiti sovranisti sono al governo. È il caso dei Veri finlandesi che fanno parte della coalizione che guida la Finlandia. Del partito anti-sistema Ano 2011 che nel 2017 ha preso quasi il 30% dei voti in Repubblica Ceca e dell’ingresso nel governo austriaco del Partito della libertà che sempre nel 2017 ha preso il 26%.
Per il momento tutti gli schieramenti sono ancora in fase di studio. Percorrendo tutto l’arco parlamentare è difficile trovare una formazione che abbia già formalizzato alleanze e piani. Ma le cose iniziano lentamente a muoversi e la visita di Le Pen va in questa direzione. Certo è che il fronte nazionalista è tutto da costruire, le alleanze ancora tutte da tessere. Il nucleo di partenza sarà con ogni probabilità il Menl, il Movimento per un’Europa delle Nazioni e della Libertà. Il partito europeo al momento ha tre grandi “azionisti”, la Lega, il Front National, e Il Partito della libertà austriaco, con la partecipazione dei nazionalisti fiamminghi che però hanno una crescita limitata. Senza dimenticare l’ingresso quasi certo dei tedeschi dell’Afd.
Un alleanza tutta da costruire
Con ogni probabilità il grande tessitore potrebbe essere Salvini. Il leader del Carroccio dovrebbe andare a cercare l’appoggio di tutta la galassia sovranista, ma non sarà semplice. Da un lato dovrà coinvolgere alcuni partiti ancora piccoli, come ad esempio il fronte dei partiti baltici o i greci di Alba dorata. Dall’altro dovrà tentare di scardinare vecchie alleanze. Alla causa potrebbero fare comodo i voti dei partiti scandinavi ma questi sono sparsi in altri gruppi parlamentari. È il caso dei Democratici svedesi che nell’ultima legislatura sedevano tra le fila del gruppo “Europa della libertà e della democrazia diretta” (la stessa formazione di cui fa parte il Movimento 5 stelle). Forse potrebbe essere più facile convincere Finlandesi e Danesi che ora siedono tra i conservatori, gruppo che ospita anche i polacchi di Diritto e giustizia. Convincere il partito ora al governo a Varsavia non dovrebbe essere difficile, anche perché diversi parlamentari polacchi hanno virato su posizioni sempre più sovraniste e identitarie.
Un altro modo per creare la cosiddetta “Lega delle Leghe” potrebbe arrivare da un’alleanza con il gruppo di Visegrad. E in questo senso l’eventuale intesa con i polacchi del PiS potrebbe aiutare. Coinvolgere i nazionalisti slovacchi, rimasti senza gruppo dal 2015, non dovrebbe essere difficile, mentre i cechi di Ano potrebbero già essere più difficili da convincere data la loro appartenenza ai liberali dell’Alde, una delle formazione che più di tutte ha attaccato il possibile ticket Salvini-Le Pen. Ma il vero problema potrebbe arrivare da Victor Orban. Se è vero che il Partito popolare lo ha formalmente messo sotto accusa per le scelte di politica interna, va detto che il primo ministro magiaro ha ribadito più volte la sua volontà di rimanere tra i popolari, causando non poche tensioni nel partito.
A sette mesi dal voto i sondaggi hanno registrato un’avanzata dei sovranisti, ma si tratta di consensi non sufficienti a conquistare la maggioranza. Secondo una simulazione di Politico.Eu l’eventuale unione delle forze anti-sistema, che vadano dal Menl al partito per la democrazia diretta passando per i conservatori e riformisti arriverebbe a circa 158 seggi. Un bottino notevole, ma non sufficiente per avere la maggioranza.
Con ogni probabilità la nebbia sul futuro del fronte nazionalista si disperderà solo con l’inizio del prossimo anno. Il governo italiano, e Salvini con lui, sono impegnati nel delicato passaggio della legge di bilancio. Mentre i 27 leader Ue sono alle prese con la spinosa questione della Brexit che dovrebbe risolversi entro fine anno. Resta però un’ultima grande incognita. Quella delle nomine fatte dal Consiglio e confermate dall’Europarlamento. Ammesso che il fronte riesca ad imporsi, e se l’elezione di Trump ci ha insegnato qualcosa niente è da escludere, resta la partita sul mandato della Commissione. Se dopo il voto del 2019 dovesse affacciarsi un parlamento a trazione sovranista non si potrebbe dire lo stesso del Consiglio Ue. Molti leader degli Stati membri sarebbero ancora al loro posto, come Emmanuel Macron e Angela Merkel. Ma allo stesso tempo il governo italiano, sponsorizzato da una Lega in ascesa, potrebbe usare le alleanze costruite durante la campagna elettorale per cambiare gli equilibri anche tra i 27 leader Ue.