(Da Beirut) Quando il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi prese il potere in un colpo di Stato nel luglio 2013, l’Egitto fu tormentato dai black-out. Spesso il Paese era al buio, anche strutture come gli ospedali. Nel Paese la produzione di gas è crollata dopo la rivoluzione del 2011. Ma la situazione potrebbe cambiare. Il 27 giugno i giornali hanno annunciato la scoperta di un enorme giacimento di gas naturale, chiamato Noor, al largo della costa del Nord Sinai. Lo hanno definito come il più grande della regione. Tale titolo è già stato attribuito al massiccio giacimento di Zohr, scoperto nel 2015, che dovrebbe cambiare il Paese in un esportatore di gas entro il prossimo anno. La maggior parte della produzione di Zohr soddisferà però la domanda interna. Oltre i tre quarti dell’elettricità dell’Egitto proviene da centrali a gas e il consumo di energia è aumentato del 14% lo scorso anno.
Il governo egiziano ha minimizzato sulle dimensioni di Noor. L’Eni, l’azienda italiana che opera sul campo, ha effettuato solo rilievi sismici dell’area e ha pagato 105 milioni di dollari per i diritti di esplorazione. Se l’Egitto continua a trovare nuove riserve, però, avrà bisogno di terminali per esportare il proprio gas. Eni da solo prevede di investire oltre 10 miliardi di dollari in Egitto entro il 2022. E con altre imprese l’azienda italiana ha trovato gas nel deserto occidentale, dove il governo vuole esplorare ulteriormente.
Ma non molto tempo fa era Israele, non l’Egitto, a dare il lavoro al gigante del gas italiano. Aveva trovato due campi, Tamar e Leviathan, con riserve e di circa 800 miliardi di metri cubi, sufficienti a soddisfare la domanda interna per decenni e a lasciare enormi quantità per l’esportazione. Ma Israele non ha gasdotti per i grandi consumatori, né le strutture per liquefare il gas e esportarlo via nave. A febbraio un’impresa egiziana, Dolphinus Holdings, ha firmato un accordo per 15 miliardi di dollari per acquistare gas israeliano e prepararlo per l’esportazione. Anche Cipro vuole che le ditte egiziane liquefino dal suo giacimento Aphrodite.
La domanda di gas è destinata ad aumentare a livello mondiale. Anche nei Paesi in via di sviluppo. Il consumo in Cina è cresciuto del 15% lo scorso anno. Ma queste scoperte sarebbero particolarmente allettanti per l’Europa, che dipende dal gas russo. Le importazioni europee dalla Russia hanno raggiunto il livello record nel 2017. Gli ex Stati sovietici temono che ciò dia a Vladimir Putin, il presidente della Russia, il potere di fare maggiori pressioni. Il suo Paese infatti ha tagliato le forniture in passato.
C’è anche da tener conto che i nuovi terminali di liquefazione creerebbero posti di lavoro e entrate per l’Egitto. Potrebbero anche cementare i legami economici con Israele e aiutare Cipro, dove l’Eni sta esplorando un giacimento chiamato Calypso al largo della costa sud-occidentale. Funzionari israeliani hanno parlato per anni di un oleodotto verso l’Europa. Sarebbe il gasdotto sottomarino più lungo del mondo, di 2.200 chilometri.
Il più grande beneficiario delle scoperte di gas in Egitto potrebbe essere Al Sisi. Il deficit di bilancio dell’Egitto è previsto per quest’anno di 24 miliardi di dollari (8,4% del Pil) e Al Sisi sta esaurendo i modi per spremere entrate extra da una popolazione per la maggior parte povera. Negli ultimi mesi il suo governo ha aumentato i prezzi dell’acqua, del carburante, dell’elettricità e dei trasporti pubblici, tutti ancora fortemente sovvenzionati. I ricavi delle esportazioni future potrebbero lenire una situazione economica sempre più in crisi.