Nella giornata di domani i cittadini ecuadoregni saranno chiamati alle urne per eleggere i 137 membri dell’Asamblea Nacional e, soprattutto, scegliere il successore del Presidente uscente Rafael Correa, esponente dell’Alianza Patria Altiva y Soberana (PAIS) che dal 2007 ad oggi ha guidato il Paese in una fase di impetuosi cambiamenti e sviluppi.Il voto dell’Ecuador ha una valenza molto elevata per tutta l’America Latina, dato che rappresenta un test importantissimo per la tenuta dei governi e dei movimenti politici afferenti all’ideologia del “socialismo del XXI secolo”, che vivono oggi una fase di difficoltà a seguito dell’esaurimento della lunga fase di intensa crescita economica di inizio millennio. Ponendosi alla guida della Revolucion Ciudadana, Correa ha perseguito un’intensa politica di ampliamento della spesa pubblica e di redistribuzione dei frutti della crescita, dovuti innanzitutto all’alto livello delle rendite petrolifere, che ha portato oltre un milione di persone fuori dallo stato di povertà sebbene sia rimasta eccessivamente vincolata, alla stregua delle sue controparti latinoamericane, al paradigma estrattivista, cosa che ha causato turbolenze nell’economia del Paese dopo la caduta internazionale dei prezzi delle commodities. Correa, non eleggibile per un quarto mandato presidenziale, ha passato il testimone all’ex Vice Presidente della Repubblica Lenin Moreno, che si presenta favorito negli ultimi sondaggi ma che con ogni probabilità non riuscirà ad evitare l’eventuale ballottaggio del prossimo 2 aprile. Il programma di Moreno è in sostanziale continuità con quello di Correa, mentre decisamente divergenti sono le piattaforme dei due candidati in lotta per giocarsi il ballottaggio contro l’esponente di Alianza PAIS: Cynthia Viteri, socialdemocratica, è molto vicina all’opposizione venezuelana della MUD, mentre Guillermo Lasso si ripresenta ai nastri di partenza dopo esser stato nettamente sconfitto da Correa nell’elezione del 2013 e promette una rottura col passato, dichiarando di essere intenzionato a creare oltre un milione di posti di lavoro portando avanti politiche fiscali decisamente ardite, passanti anche per la trasformazione delle aree più ricche del Paese in “zone franche” dall’imposizione fiscale. Come scritto da Luca Lezzi su L’Intellettuale Dissidente, “tra le principali tematiche della campagna elettorale l’economia risulta essere la vera e propria padrona. Il deprezzamento del dollaro interessa da vicino la nazione che, nel 1998, abbandonò la propria moneta nazionale, il sucre, in favore di quella statunitense nel corso di una grave crisi finanziaria che portò al collasso del sistema bancario”. Secondo l’ultimo numero dell’Almanacco Latinoamericano, un fattore decisivo nel voto di domenica sarà rappresentato dall’affluenza alle urne degli elettori indecisi, dato che il 39% dei cittadini ecuadoregni, secondo i sondaggi più attendibili, non aveva ancora scelto il suo candidato preferito alla fine di gennaio.Un’ulteriore tematica delicata per il futuro dell’Ecuador è rappresentata dagli indirizzi futuri che la politica estera di Quito assumerà dopo il voto presidenziale: Correa si è fatto interprete dei processi di integrazione regionale dei governi del “socialismo del XXI secolo” ed è sempre stato un fautore dell’ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe), portando avanti al tempo stesso una politica di aperto contrasto agli Stati Uniti d’America che lo ha condotto, tra le altre cose, a concedere asilo politico al fondatore di WikiLeaks Julian Assange. Nel prossimo futuro, con ogni probabilità il suo successore si ritroverà destinato a condurre trattative serrate per rinforzare i vincoli che legano il Paese all’Europa: l’Almanacco Latinoamericano ha infatti sottolineato l’importanza della recente visita del Ministro degli Esteri di Quito Guillelme Long in Spagna, a cui è destinata a fare seguito una crescita delle relazioni commerciali tra l’Ecuador e il Vecchio Continente.Il voto dell’Ecuador, come detto, rappresenta un banco di prova per il futuro dell’esperienza di governo del “socialismo del XXI secolo” in una fase storica importante per capire le reali prospettive future di un movimento politico-ideologico che, dopo aver conquistato la maggioranza dei governi latinoamericani nei primi Anni Duemila, si trova ora sotto scacco in Argentina, in crisi in Venezuela ed in una fase interlocutoria in Brasile, Paese ove si prepara al ritorno in scena l’ex Presidente Lula. L’Ecuador servirà a chiarire se, effettivamente, il continente latinoamericano stia virando apertamente a destra e se il “socialismo del XXI secolo” è da ritenersi definitivamente al tramonto o se, al contrario, Correa è riuscito laddove Chavez e Lula hanno subito i loro principali contraccolpi politici: scegliere un successore in grado di continuare il suo progetto politico riuscendo, al tempo stesso, a guidarlo e correggerne in corsa le imperfezioni interne.
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