Il Kashmir, la regione contesa tra India e Pakistan, torna al centro delle tensioni tra i due Paesi dopo quasi sei mesi dall’escalation militare che ha infiammato la regione come non accadeva dal conflitto del 1971. Il governo di Nuova Delhi ha infatti revocato lo status di regione autonoma con la cancellazione dell’articolo 370 della Costituzione, che garantiva al Kashmir e allo Stato di Jammu la possibilità di legiferare in maniera autonoma.

Con una mossa affatto a sorpresa il presidente Modi ha decretato la fine di uno status quo che durava dal 1954 e che permetteva alla regione di avere una larga autonomia volta a garantire la convivenza tra musulmani e indù: il Kashmir, infatti, godeva di una propria Costituzione che proibiva la penetrazione culturale e demografica esterna, ad esempio vietando la possibilità di comprare appezzamenti di terreno agli stranieri.

Per capire come si sia arrivati a questa decisione, che corre il rischio di deteriorare ulteriormente i rapporti tra Islamabad e Nuova Delhi, dobbiamo però fare una premessa che ci porta indietro di qualche mese, proprio a febbraio di quest’anno quando sono scoppiati gli scontri armati che hanno fatto pensare all’inizio di una guerra.

Una decisione annunciata

Il provvedimento era già stato preso all’inizio di febbraio dal governo e si era deciso di annunciarlo subito prima delle elezioni del Lok Sabha, la camera bassa del Parlamento indiano, per motivi elettorali. L’attentato da parte di un terrorista suicida legato al gruppo Jaish-e-Mohammed che il 15 febbraio ha ucciso 40 agenti della Crpf, la polizia militare indiana, a Pulwama, nel Kashmir e successivamente l’attacco aereo indiano, hanno suggerito a Nuova Delhi di posticipare di mesi (tre o quattro secondo una fonte del governo) l’annuncio del provvedimento, onde evitare di esacerbare ulteriormente la tensione tra India e Pakistan.

L’India ha, nel frattempo, cercato di “preparare il terreno” con la visita nel Jammu e Kashmir del ministro degli Affari Interni Amit Shah a giugno e con quella del consigliere per la sicurezza nazionale Ajit Doval di fine luglio, ma un altro fattore, esterno, potrebbe aver affrettato i tempi della decisione indiana: l’incontro tra il Presidente Trump e il premier pakistano Imran Khan dello scorso 22 luglio.

Gli Stati Uniti “terzo incomodo” nella questione del Kashmir

Durante il vertice, oltre alla richiesta americana di facilitare la negoziazione con i Talebani in Afghanistan, è emersa la questione del Kashmir: il presidente Trump ha infatti affermato che la sua controparte indiana, il presidente Modi, gli avrebbe chiesto di mediare nelle trattative tra India e Pakistan per la regione contesa.

Dopo qualche ora è arrivata prontamente la smentita di Nuova Delhi che ha chiaramente fatto sapere che non ha alcun interesse ad una mediazione da parte degli Stati Uniti, preferendo invece che le trattative col Pakistan restino sul piano esclusivamente bilaterale: Nuova Delhi non vuole ingerenze esterne di nessun tipo, nemmeno americane.

Possibile intervento americano che però viene visto di buon grado da parte di Islamabad, che spera forse in un riavvicinamento a Washington proprio in funzione di ostacolo e contrasto al riavvicinamento tra Stati Uniti ed India.

Pertanto la decisione di lunedì di rendere effettiva la cancellazione dell’articolo 370 aprendo così, di fatto, la strada ad una maggiore “indianizzazione” del Jammu e Kashmir, potrebbe essere stata scatenata proprio dal ventilato intervento americano, osteggiato da Nuova Delhi e caldeggiato da Islamabad.

Eliminare lo “statuto speciale” della regione equivale a parificarla a tutti gli effetti al resto dell’India, mandando quindi un chiaro messaggio a Washington e ad Islamabad.

La tensione è destinata a salire

La mossa indiana non farà che accentuare la tensione col Pakistan, ed offre lo spunto ad Islamabad per soffiare sul fuoco dello scontro religioso essendo i musulmani una minoranza nel Jammu e Kashmir: la propaganda di Islamabad avrà gioco facile a far passare l’idea della volontà indiana di de-islamizzare la regione proprio per le caratteristiche stesse dell’articolo 370, che garantivano, soprattutto col divieto di acquisizione di appezzamenti di terra da parte di stranieri, che la minoranza islamica non potesse essere espropriata dei suoi possedimenti.

Il rischio di vedere per il Kashmir lo stesso trattamento dei territori palestinesi occupati da Israele non è così lontano dalla realtà: l’India è mediamente un Paese molto più ricco del Pakistan e non è affatto da escludersi che il provvedimento aprirà le porte a un’ondata di rupie che serviranno a comprare il territorio che non è stato possibile ottenere con la diplomazia.

La risposta di Islamabad, nel momento in cui scriviamo, ancora non si è delineata sebbene il parlamento stia discutendo della questione. L’opzione militare, sebbene non del tutto escludibile, ci sembra quantomeno inverosimile in questo particolare momento in cui i legami tra Pakistan e Stati Uniti sembra si stiano riallacciando dopo anni di gelo: Washington non permetterà un’escalation militare tra i due contendenti con ancora da definire i negoziati coi Talebani in Afghanistan, che richiedono il vitale appoggio di Islamabad.

Anche il fatto che le due nazioni abbiano entrambe un arsenale atomico di tutto rispetto funge da forte deterrente per un conflitto su larga scala, non è però da escludersi che il Pakistan possa optare per un’azione militare dimostrativa nel Kashmir, e l’evacuazione di migliaia di persone dalla regione da parte delle autorità indiana farebbe supporre che Nuova Delhi si aspetti una reazione militare di qualche tipo.

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