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“Io contesto la lotta armata all’Olp non perché ritengo non ne abbia diritto, ma perché non porterà a nessuna soluzione. (…) La questione palestinese ha un fondamento e l’azione dell’Olp va valutata col metro della storia”.

Quando nel 1985 Bettino Craxi pronunciò queste parole davanti alla Camera dei Deputati l’allora Presidente del Consiglio descriveva le strategie di politica estera dell’Italia nel Mediterraneo. Accompagnato dai fischi e dalle urla provenienti dalle fila della Democrazia Cristiana e del Movimento Sociale Italiano, il suo discorso rivendicavano “il ruolo di pace dell’Italia nel Mediterraneo” e la sua funzione di mediatore tra il mondo occidentale e quello arabo. Dal 1945 fino al 2011, infatti, l’Italia è stato il Paese dell’Occidente maggiormente propenso al dialogo con i Paesi arabi. La sua posizione geografica, i suoi legami con le ex colonie e gli interessi delle sue compagnie statali più influenti – in primis l’Eni – hanno sempre spinto la Farnesina a incentivare e promuovere i propri interessi nel Mediterraneo e il dialogo con gli Stati che si affacciano su questo mare. In primis, dunque, con alcuni Paesi arabi, come Tunisia, Algeria, Libia, Egitto, Libano e Siria.

Oggi, però, l’azione tanto dell’Italia quanto dell’Europa nel Medio Oriente  – e in particolar modo nel conflitto siriano – è totalmente assente. Come spiega Andrea Plebani, ricercatore presso l’Ispi e l’Università Cattolica del Sacro Cuore nonché esperto del mondo islamico “la presenza italiana in Siria è oggi pari a zero”.

A cosa è dovuto l’allontanamento dell’Europa dal mondo arabo? E cosa ha comportato la perdita da parte dell’Italia della sua funzione di mediatore nel Mediterraneo? Secondo Arturo Varvelli, ricercatore presso l’Ispi e studioso della politica estera italiana nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, “l’assenza dell’Unione Europea è strettamente legata a quella dell’Italia che, per decenni, ha svolto una funzione mediatrice tra quel mondo e tutto l’Occidente”.

La (mancata) presenza dell’Italia in Medio Oriente è strettamente collegata a quella di tutto il mondo occidentale. Secondo molti studiosi il governo italiano si è trovata a dover compiere una scelta: quella tra difendere i propri interessi nel Mediterraneo e promuovere il proprio ruolo all’interno dell’Unione europea. Avendo preferito la seconda opzione Roma ha rinunciato alla propria funzione di mediatore con il mondo arabo, al dialogo privilegiato che aveva con esso e, facendo arretrare la propria influenza, ha fatto diminuire la capacità d’azione di tutta l’Europa nella regione. La conseguenza è stata, come vediamo, la situazione odierna di totale caos.

Ma perché l’Italia ha rinunciato al Mediterraneo a favore della Ue? Per comprenderlo è necessario capire come la politica estera italiana a partire dal secondo dopoguerra in poi si sia orientata parallelamente in tre direzioni: verso il Mediterraneo, verso l’Europa e verso l’Atlantico. La politica filo-europeista dell’Italia e la sua partecipazione a tutte le fasi di integrazione del processo europeo fu comprensibilmente dettata dalla necessità di trovare nuovi alleati a seguito della sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. La volontà di guardare verso l’Atlantico fu invece dovuta principalmente ad un fattore securitario: instaurare un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti e la Nato nel contesto della Guerra Fredda garantiva sicurezza e stabilità, nonché armonia con i principi sanciti dalla nuova Costituzione appena entrata in vigore (in particolare per quanto riguarda l’articolo 11).

Se la vocazione filo-atlantista e filo-europeista italiana era fortemente appoggiata dai propri nuovi alleati occidentali, non lo era quella mediterranea. Uscendo sconfitta dalla Seconda Guerra Mondiale l’Italia perse le proprie colonie. Si trattò di una rinuncia obbligata che fecero perdere a Roma la propria influenza nel Mediterraneo a favore dell’inserimento nell’area atlantica attraverso l’ingresso nella Nato e nella Comunità europea, fortemente incentivato dalla Democrazia Cristiana di Alcide de Gasperi, sostenuto dal Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante.  Rinunciando al Mediterraneo all’Italia veniva di fatto chiesto di rinunciare a parlare di interesse nazionale (la memoria del fascismo in quanto ‘dittatura fondata sull’interesse nazionale’ e delle tragedie ad esso collegate era comprensibilmente molto forte) per delegarlo all’Europa e all’Alleanza Atlantica.

A partire dai primi anni 50, però, l’Italia tornò prepotentemente ad essere uno dei protagonisti nel Mediterraneo, ricominciando a promuovere i propri interessi. I motivi? Per prima cosa l’economia italiana stava vivendo l’industrializzazione, diventando così uno dei mercati più competitivi al mondo. Essendo il territorio privo di risorse naturali doveva cercare dei nuovi sbocchi, che trovò in quei Paesi arabi estremamente ricchi di risorse (in primis gas e petrolio) ma con un debole apparato statale. Il primo di questi fu la Libia, ex colonia e al tempo ancora abitata da una folta colonia di 15mila italiani, la cui economia divenne complementare a quella del nostro Paese. In secondo luogo  una parte della classe dirigente italiana, il cui uomo di punta fu Enrico Mattei, si rese promotrice del ritorno all’interesse nazionale, riallargando l’influenza sul Mediterraneo e facendosi campione di anti-colonialismo. In un momento in cui fiorivano i movimenti anti-colonialisti nei Paesi arabi affacciati sul Mediterraneo i rapporti tra essi e le vecchie madrepatrie erano molto tesi se non estremamente conflittuali. Il governo italiano, non avendo colonie ma forti interessi nella regione, si pose come mediatore tra le diverse parti, aprendo il dialogo con il mondo arabo pur mantenendosi all’interno di quelle occidentale.

L’Italia tentò di rendersi protagonista facendo da ponte tra gli interessi mediterranei e quelli atlantici. Approfittandone delle difficoltà degli altri attori con interessi nel Mare Nostrum. La crisi di Suez del 1956 rese evidente come Francia e Gran Bretagna non fossero più grandi potenze, cosa che concedeva all’Italia un grande spazio di manovra. Anche dopo la morte di Mattei i governi italiani che si succedettero continuarono sulla via da lui tracciata: ponendosi come mediatore tra l’Occidente e il mondo arabo e promuovendo relazioni bilaterali in ambito multilaterale. Stringendo accordi con l’Algeria, mantenendosi in buoni rapporti con Gamal Abdel Nasser e gli Stati ‘non allineati’, dialogando con le autorità palestinesi (soprattutto per mano di Craxi e Giulio Andreotti) e sviluppando un rapporto privilegiato con la Libia (dove nel frattempo era salito al potere Muhammad Gheddafi) l’Italia divenne il Paese che contribuiva maggiormente a creare e gestire i rapporti tra Comunità europea e area mediterranea, diventando (anche e soprattutto per volontà di Aldo Moro) il principale rappresentante degli interessi della Comunità europea nella regione.

Gli interessi italiani nel Mediterraneo, però, iniziarono a scontrarsi contro quelli atlantisti. Alcuni dei Paesi arabi con cui l’Italia aveva un rapporto privilegiato, infatti, divennero i principali avversari degli Stati Uniti. Negli anni 80 Gheddafi venne accusate dal presidente americano Ronald Reagan di finanziare dei gruppi terroristici filo-palestinesi (cosa effettivamente avvenuta). La Libia venne dichiarato uno Stato canaglia e all’Italia venne chiesto di prendere una posizione netta contro di esso. Si trattò di una vera e propria richiesta di scegliere tra gli interessi mediterranei e atlantici, tra il rapporto con Stati Uniti e la politica tendenzialmente filo-araba promossa in nome del proprio interesse nazionale. Fu in questo contesto, non a caso, che si manifestarono i momenti di tensione più acuti tra Italia e Stati Uniti, con addirittura lo scoppio di scontri a fuoco tra la Marina Militare Italiana e quella americana al largo delle coste siciliane nella famosa crisi di Sigonella, che segnò la rottura definitiva tra Reagan e Craxi che insisteva nel mantenere una politica filo-araba.

Negli anni 90, però, il governo di Roma iniziò a favorire maggiormente gli interessi europei e atlantisti, ai danni dunque di quelli mediterranei. Con il crollo della cortina di ferro e la scomparsa del pericolo comunista il Belpaese smise di essere rilevante agli occhi americani e, per questo, perse la sua centralità nel contesto atlantico. Gli Stati Uniti, dal canto loro, si dovettero confrontare con le problematiche legate all’assenza di un unico grande nemico e alla gestione del nuovo mondo unipolare. Nella seconda metà degli anni 90 iniziarono ad essere maggioritarie all’interno del Congresso le correnti seguaci delle teorie di Samuel Huntington, teorizzatore dello scontro di civiltà tra il mondo occidentale di stampo americano e le culture che ad esso non si vogliono allineare. Tra di esse Huntington riconobbe in quella islamica (e araba) la principale.

Gli alleati degli Stati Uniti, dunque, vennero messi di fronte ad una scelta radicale. O con gli americani o con il mondo arabo. L’Italia, appoggiando gli interventi militari americani in Afghanistan e Iraq (figli non a caso delle teorie di Huntington), oltre che quelli precedentemente avvenuti nei Balcani, si schierò con l’alleato americano, iniziando ad abbandonare i propri interessi nel mondo arabo e quindi nel Mediterraneo. Con l’unica eccezione della Libia, con cui al contrario i rapporti sia economici che politici si intensificarono. Il governo italiano guidato da Silvio Berlusconi strinse con Gheddafi una serie di accordi che prevedevano il pagamento da parte dell’Italia dei danni coloniali in cambio che questi venissero reinvestiti in lavori sul territorio appaltati a imprese italiane. I due governi, inoltre, si impegnavano in un’azione congiunta contro l’immigrazione clandestina.

L’esplosione delle cosiddette ‘primavere arabe’ nel 2011, però, segnò la fine di ogni influenza e interesse italiano ed europeo nel Mediterraneo. Il governo italiano avvallò i bombardamenti contro il proprio alleato libico nonostante fosse contrario ai propri interessi (oltre che alla stabilità della regione) ma che favoriva invece gli interessi della Francia. Berlusconi, pagando i danni coloniali, aveva creato un precedente, inimicandosi dunque i Paesi che di danni coloniali ne hanno creati tantissimi. In primis Gran Bretagna e Francia. Quest’ultimo, non a caso, era anche principale competitore dell’Italia nel Mediterraneo. L’allora presidente francese Nicolas Sarkozy si trovava in un momento di estrema difficoltà, dato che i suoi alleati mediterranei di Egitto e Marocco (anche loro dittature sanguinarie) erano appena caduti. Percependo la debolezza italiana (la stabilità interna dell’allora governo Berlusconi era fortemente precaria) favorì l’attacco alla Libia, ottenendo l’appoggio di tutte le principali potenze europee tranne della Germania, che si astenne.

Anche l’Italia avvallò i bombardamenti, nonostante fino a due giorni prima che iniziassero sia Berlusconi che il Ministro degli Esteri Franco Frattini si fossero detti contrari. Mostrando, di fatto, di non essere in grado di tutelare i propri interessi in ambito multilaterale. Tra i propri interessi nel Mediterraneo e quelli europei prevalsero i secondi. Ponendo così fine ad ogni forma di interesse di tutta l’Europa nella regione. E dando inizio al cos che oggi nel Mediterraneo regna sovrano.

@luca_steinmann1

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