Isolato a livello internazionale, dopo aver innescato un’escalation contro Assad ad Idlib ed aver chiesto invano l’aiuto di Ue e Nato, Erdogan non sembra poter dormire sonni tranquilli anche sul fronte interno. Qui già un po’ di tempo la sua parabola appare in discesa: l’Akp, il partito da lui fondato nel 2001, ha perso il controllo di tutte le principali città turche nelle amministrative dello scorso anno, comprese Istanbul ed Ankara. Il consenso, complice anche un momento non felice dell’economia, non è più ai massimi livelli già da anni. Il presidente turco ha quindi provato a solidificare e compattare il fronte interno con le avventure militari, sia quelle anti curde in Siria che quelle più recenti in Libia ed anti Assad ad Idlib. L’obiettivo era quello di tenere unito il paese di fronte alle minacce terroristiche e presentare Ankara come un nuovo attore di primo piano nell’area mediorientale. Ma i risultati al momento non sono stati quelli sperati da un sultano sempre più circondato.
L’impatto di militari morti e nuovi profughi
Negli ultimi giorni ad Istanbul sono state affisse nei luoghi pubblici sempre più bandiere turche, anche al di là di quelle di ordinanza. Nelle università, così come nelle stazioni della metropolitana, all’ingresso o nei luoghi di aggregazione del pubblico hanno fatto più o meno improvvisamente la loro comparsa grandi bandiere con la mezzaluna ben notate da cittadini e turisti. E questo non costituisce, per la verità, una grande novità. Ma è emblema di ciò che sta accadendo nel paese: il governo vorrebbe innestare nell’opinione pubblica, dopo la morte di più di 50 soldati nella provincia siriana di Idlib, un senso di solidarietà ed orgoglio nazionale in grado di fare leva sul senso patriottico molto alto dei turchi. Un modo per l’attuale governance anche per appianare ogni sorta di polemica e di dibattito politico sull’opportunità delle missioni militari a cui i militari sono stati esposti da Erdogan.
Tuttavia, l’effetto per il momento è parzialmente opposto. Non sono pochi, specialmente nelle grandi città, coloro che al fianco del sentimento di lutto nazionale contrappongono anche la collera per come si è arrivati alla morte dei propri soldati. Se la motivazione volta al contrasto dei gruppi curdi ha retto ad ottobre, in occasione dell’operazione “Primavera di Pace” lanciata nel nord della Siria, questa volta c’è una parte di opinione pubblica che ha iniziato a considerare le missioni in Libia e ad Idlib come “capricci” di Erdogan. E dunque, in tanti non comprendono come mai il governo abbia mandato a morire i propri militari a Tripoli e nella stessa Idlib. Già dopo le prime conferme delle vittime turche in Libia, arrivate nei giorni scorsi, molti cittadini hanno iniziato a non gradire le ultime prese di posizione di Ankara in politica estera. La morte di 50 soldati uccisi in Siria, ha provocato un più forte impatto emotivo sulle persone.
A questo occorre aggiungere anche la situazione dei profughi. Erdogan in migliaia li sta lasciando andare verso l’Europa per ritorsione, dopo che da Bruxelles non è arrivata alcun appoggio alla Turchia ad Idlib. Ma tra i gruppi partiti alla volta della Grecia, nella stragrande maggioranza dei casi si ritrovano migranti irregolari non siriani la cui presenza nelle grandi città è fonte di critiche al governo. Erdogan spera di spedirli adesso in Europa, ma tanti altri ne potrebbero arrivare da Idlib per via delle operazioni militari in corso. Ed ogni migrante che entra in Turchia rappresenta una critica in più per il governo, reo secondo i partiti di opposizione di aver fallito il proprio approccio in politica estera.
I malumori dell’esercito
Se fin qui il quadro sopra descritto è di natura politica, i timori principali per Erdogan in realtà potrebbero arrivare dall’esercito. Dopo il fallito golpe del 2016, il presidente turco ha avviato una fase di totale stravolgimento delle forze armate: sono stati cambiati molti generali e molti comandanti, ma soprattutto sono stati espulsi coloro che erano sospettati di appartenere al gruppo di Fethullah Gulen, il magnate in auto esilio negli Usa nemico numero uno di Erdogan e sospettato da quest’ultimo di aver messo in piedi un vero e proprio “anti Stato“. Tuttavia, il presidente turco non può controllare l’esercito al pari di come controlla il parlamento. Così come fatto notare su AgenziaNova nei giorni scorsi, “l’esercito è erede della tradizione laicista e kemalista, resta un corpo a sé stante nel panorama nazionale, con frequenti contatti internazionali e percorsi formativi diversi da quelli dell’apparato burocratico civile”.
Se la morte di numerosi soldati in Siria ed in Libia ha destato molto clamore nella popolazione, a maggior ragione gli ultimi episodi hanno destato non poche perplessità in seno all’esercito. Molti militari oramai avvertono la sensazione di essere mere pedine da sacrificare sull’altare delle velleità di Erdogan. E di questo il presidente turco, vista la storia caratterizzata da numerosi golpe nel suo paese, dovrà tenerne in qualche modo conto.