L’ultimo turno delle primarie democratiche americane ha segnato l’esito della corsa verso la Casa Bianca. Joe Biden ha sconfitto Bernie Sanders, con margini decisamente ampi, in Arizona, Illinois e Florida ed ha ormai staccato il senatore progressista del Vermont nel conteggio dei delegati totali. Ne servono 1991 per vincere la sfida e l’ex vice di Obama è a quota 1091 mentre Sanders ad appena 778: il ritiro dell’esponente progressista potrebbe essere imminente, anche perché partecipare ad una competizione che si sa di non poter vincere si rivelerebbe dispendioso e controproducente. Sulla carta Joe Biden è il candidato perfetto per sconfiggere Donald Trump: moderato e rassicurante, con una buona dosa di esperienza politica ed una serie di endorsement importanti (come quelli di Pete Buttigieg e Michael Bloomberg). L’ex vicepresidente di Obama, però, ha alcuni punti deboli che potrebbero costargli la presidenza.
Le mancanze di Biden
Una delle debolezze di Biden è lo scarso appeal che riscuote tra i più giovani. Questo trend ha trovato conferma anche nei più recenti appuntamenti elettorali: in Arizona, Illinois e Florida Sanders lo ha superato tra chi ha più di 18 e meno di 44 anni con un vantaggio, rispettivamente, del 52, 37 e 13 per cento. Questa fascia d’età, però, tende a disertare le urne e pertanto ha pesato poco nel computo dei votanti consentendo così a Biden, che è molto popolare tra gli anziani, di vincere con un margine ampio. Biden, se vorrà avere un’arma in più contro Trump, dovrà mobilitare i più giovani e portarli dalla propria parte. Un compito che potrebbe rivelarsi difficile: l’ex vicepresidente di Obama è troppo moderato per suscitare gli entusiasmi dei meno anziani, è forse considerato parte dell’establishment ed i suoi richiami sono probabilmente destinati a cadere nel vuoto.
Sul futuro presidenziale di Biden non pesa solo la demografia dell’elettorato ma anche la sua abilità nel riuscire a parlare alle diverse anime del Partito Democratico. La base di questo schieramento è notoriamente frazionata e divisa in progressisti, più vicini a Bernie Sanders e moderati, legati a Joe Biden ed a figure politiche come Nancy Pelosi. L’ex vice di Obama potrebbe essere più abile nel sottrarre a Trump i voti della base repubblicana (uomini e donne bianche senza laurea) che nel trascinare alle urne la totalità di quella democratica. I progressisti, infatti, potrebbero lasciarsi tentare dall’astensionismo, bruciati dalla sconfitta di Sanders e non supportare il candidato Democratico incoronato dalle primarie
Dall’emergenza Covid alla popolarità
Joe Biden dovrà poi essere abile nel riuscire a domare, nei dibattiti pre-elettorali, quell’animale da palcoscenico che è Donald Trump. L’istrionico ex-tycoon ha offerto performance memorabili quando ha affrontato Hillary Clinton e potrebbe tirare fuori un coniglio dal cilindro in grado di assicuragli una vittoria netta. L’oratoria di Biden, seppur chiara e precisa, potrebbe risultare compassata ed i messaggi veicolati potrebbero passare in secondo piano di fronte alla capacità di entertainment di Trump.
Sullo sfondo delle elezioni presidenziali di novembre c’è, poi, l’emergenza coronavirus. La pandemia potrebbe alterare lo svolgimento della competizione ed infliggere danni irreparabili all’amministrazione uscente andando a favorire i Democratici. Non bisogna dimenticare, infine, che la candidatura di Joe Biden ha comunque diversi punti di forza: è capace di attrarre il voto moderato dei Repubblicani e degli Indipendenti, è molto amato dagli afroamericani ed ha una certa esperienza nella gestione della cosa pubblica. Una vittoria contro Donald Trump, al contrario di quanto sembrano pronosticare diversi sondaggi, non è però scontata ed in questo senso la bruciante sconfitta di Hillary Clinton dovrebbe insegnare qualcosa.