La Francia è riuscita a spuntarla un’altra volta: venerdì 12 novembre si terrà all’Eliseo l’ennesima conferenza sulla Libia, un’altra photo opportunity organizzata da Parigi la cui utilità è francamente opinabile. E l’Italia, suo malgrado, parteciperà in qualità di co-presidente, assieme al governo libico, con il premier Mario Draghi. Ma andiamo per gradi. L’idea di accogliere sul tappeto rosso i leader del mondo per parlare di Libia è stata lanciata del Jean-Yves Le Drian, vecchia volpe della diplomazia francese, lo scorso settembre all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Bello il palcoscenico, buoni i propositi, ma la Libia ha davvero bisogno del settimo evento-spot dopo Parigi (maggio 2018), Palermo (novembre 2018), Abu Dhabi (marzo 2019), Berlino 1 (gennaio 2020), Berlino 2 (giugno 2022) e Tripoli (ottobre 2021)?

La situazione attuale in Libia alla vigilia del voto

Una cosa va detta forte e chiaro: la stragrande maggioranza dei libici vuole andare alle elezioni per scegliere i propri leader, nominati fin qui tramite opachi meccanismi escogitati dall’Onu. Ed è giusto così: la gente è stanca dello strapotere delle milizie e di una guerra che va avanti a fasi alterne dal 2014, privando i libici delle ingenti risorse naturali che gli spetterebbero di diritto. Ma la Libia è davvero in grado oggi di organizzare elezioni “libere, trasparenti e eque” come vorrebbero le Nazioni Unite? La risposta purtroppo è no per almeno tre motivi. Primo: la presenza di forze, combattenti e mercenari stranieri non può rendere il voto davvero “libero”. Secondo: il quadro legale su cui poggiano queste elezioni è una porcata di tali dimensioni che neanche noi italiani, abituati a votare tappandoci il naso, potremmo accettarla. Terzo, l’esclusione dei partiti politici e le leggi “ad personam” per favorire alcuni candidati (come il generale Khalifa Haftar) è tutto fuorché “equo”.

In un Paese normale, prima si pongono le basi dello Stato con una costituzione, poi si fanno le elezioni. Ma la Libia non è affatto un Paese normale e le elezioni sono un percorso a ostacoli: si vota prima per il primo turno delle presidenziali, poi (circa un mese e mezzo dopo) per le parlamentari e per il secondo turno. Sempre che gli esclusi o i candidati sconfitti non facciano ricorso. Insomma: forzare il voto rischia di creare uno scenario simile 2014, quando da un’elezione contestata scoppiò la guerra civile che dura ancora oggi. 

La conferenza di venerdì

Con queste premesse si ritorna a Parigi, proprio come nel maggio del 2018. Il filo conduttore della nuova conferenza è lo stesso di tre anni fa. Ossia, quello di organizzare quanto prima delle elezioni. A differenza però del precedente vertice svolto in terra francese, questa volta una data per le consultazioni c’è. È quella del 24 dicembre 2021, un giorno scelto non a caso visto che la Libia celebrerà il suo settantesimo anniversario dall’indipendenza. Ma come tre anni fa a mancare sono le condizioni per un voto svolto in sicurezza. Emmanuel Macron sul dossier libico vuole spendere una parte della sua campagna elettorale, oramai iniziata. In Francia nel maggio 2022 si voterà per le presidenziali e dopo lo smacco sui sottomarini australiani e l’abbandono parziale del Mali, l’inquilino dell’Eliseo vuole dimostrare di avere ancora margini di manovra in politica estera.

Di conferenza a Parigi si è tornati a parlare già lo scorso ottobre, più o meno improvvisamente. La diplomazia transalpina ha poi ufficializzato la data del 12 novembre nonostante le perplessità italiane e tedesche. Roma è stata invitata assieme a Berlino presiedere congiuntamente il vertice e alla fine, suo malgrado, accettato. La Russia, importante attore sul campo avendo ancora contractors della Wagner in Cirenaica, dovrebbe inviare “solo” il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov. Presenti anche i vertici della diplomazia europea e dell’Unione Africana. Grande assente sarà probabilmente la Turchia. Ankara non vuole sedersi al tavolo con alcuni degli invitati. Tra questi figurerebbero i rivali greco-ciprioti ma anche Israele. Non è ancora chiaro se parteciperà l’Algeria, ormai ai ferri corti con Parigi. Dovrebbero esserci invece emissari dal Qatar, dall’Egitto, dagli Emirati Arabi Uniti e da altri Paesi del Golfo. In poche parole, la Francia potrebbe comunque vantare una presenza non indifferente sotto il profilo politico durante il vertice.

Difficile al momento dire invece chi andrà a rappresentare il primo Paese interessato, ossia la Libia. É probabile la presenza di Mohamed Menfi, il numero uno del Consiglio presidenziale. Ma è in forse quella della ministra degli Esteri Najla el Mangoush, sospesa pochi giorni fa dal suo incarico e poi reintegrata dal premier Abdulhamid Dbeibeh. Da Tripoli c’è comunque chi ha storce il naso per questa conferenza. È il caso di Abdul Rahman Al Shater, uno degli esponenti più importanti dell’Alto Consiglio di Stato, che all’Agenzia Nova ha detto: “Boicottare questo incontro è un dovere nazionale”.

La poca utilità della conferenza

I libici ad incontri del genere ormai sono abituati. Da quando dieci anni fa è stato ucciso Muammar Gheddafi, questo popolo nordafricano ha visto passare sotto i propri occhi almeno una decina di conferenze internazionale. Tutte organizzate apparentemente con buoni propositi e circondate da un’aurea di ottimismo. Ma in nessun caso si è arrivati a una soluzione. Tra le varie conferenze poste in essere, quella del 12 novembre appare francamente la meno utile. E, contemporaneamente, la più pericolosa. L’incontro voluto dalla Francia si terrà di fatto tra un’altra conferenza organizzata in precedenza a Tripoli e la data delle fatidiche elezioni. Nella migliore delle ipotesi, gli invitati discuteranno di documenti e conclusioni già approvati. Nella peggiore, rischieranno di aggiungere ulteriore tensione in un contesto già precario e molto delicato.

Le regole per le consultazioni sono contestate, il percorso verso il futuro governo – presente nei documenti approvati dal foro di dialogo – è fortemente in dubbio. E i problemi da affrontare in vista del voto non sono finiti qui. A partire dal destino dell’attuale esecutivo di unità nazionale, dalla mancanza di una Costituzione, l’assenza di un corpus legislativo in grado di dare certezze sulle norme elettorali e dalla mancata attuazione del piano di ritiro di tutte le milizie (e forze militari) straniere ancora presenti. Punti delicati, difficilmente risolvibili in un’ennesima conferenza di poche ore. L’incontro parigino altro non sembra che una mera passerella organizzata da chi ha necessità di mostrare la propria presenza all’interno del dossier.

La presenza dell’Italia

L’Italia, come detto, è stata tirata in mezzo e non può fare retromarcia. A Parigi andrà il premier Mario Draghi e non potrebbe essere altrimenti: se dobbiamo co-presiedere questa riunione è bene farlo al massimo livello, data l’importanza del dossier libico per gli interessi italiani in ballo (basti pensare al gas o ai migranti). L’obiettivo a questo punto è limitare i danni. Sì, perché i francesi sotto sotto ancora sperano di recuperare la partita persa con la sconfitta di Haftar a Tripoli nel giugno 2020. Ma vaglielo a spiegare a Macron che in Cirenaica, roccaforte del “feldmaresciallo” sostenuto e perfino curato dai militari di Parigi, vive solo 1/3 della popolazione libica e che il loro “cavallo” è condannato a perdere per un semplice calcolo demografico. Il nostro premier è abbastanza bravo coi numeri ed è noto per la sua pragmaticità: l’auspicio è che la sua presenza in Francia possa evitare alla Libia l’ennesimo, includente incontro internazionale buono solo a gonfiare l’ego di chi lo organizza.





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