Elon Musk aveva promesso che sarebbe stati pubblicati dei file interni all’azienda “esplosivi” e così è stato. Documenti che dimostrano, ancora una volta, la connessione fra potere politico e Big Tech al fine di censurare i contenuti scomodi e limitare così la libertà di espressione garantita dalle costituzioni occidentali. Il nuovo proprietario di Twitter ha “utilizzato” il giornalista indipendente Matt Taibbi per pubblicare una prima serie di documenti interni nella serata di venerdì 2 dicembre, svelando le pressioni politiche per limitare il “free speech”, e come questo sforzo ha subito un’accelerazione in occasione delle ultime elezioni presidenziali, con l’importante decisione dell’ottobre 2020 da parte di Twitter di bloccare la diffusione dello scoop del New York Post circa i contenuti compromettenti del laptop di Hunter Biden, figlio del presidente Usa e al tempo sfidante di Donald Trump.

Le pressioni della campagna di Biden

Sebbene frammentari nei vari tweet di Taibbi, gli screenshot dei primi “Twitter files” dimostrano come i dirigenti di Twitter abbiano censurato la storia del laptop di Hunter Biden negli ultimi giorni della campagna del 2020, anche se mancavano di prove sul fatto che quel materiale provenisse da un hackeraggio, e quindi in violazione delle regole di condotta della piattaforma. I documenti, come sottolinea Taibbi, mettono in luce anche il fatto che l’allora Ceo di Twitter, Jack Dorsey, è stato escluso dal processo decisionale. Dorsey avrebbe poi definito un “errore” la scelta della piattaforma di censurare la notizia del New York Post. Nella documentazione pubblicata su Twitter da Taibbi venerdì sera, emergono le pressioni che la campagna di Biden e il Comitato nazionale democratico hanno fatto pressioni sulla piattaforma per censurare determinati contenuti, evidentemente scomodi.

Le e-mail citano le richieste del “team Biden” e del “DNC” e includono conferme che Twitter “ha gestito” le loro richieste di eliminare i post. Taibbi ha infatti pubblicato una lunga serie di thread, che Musk ha ritwittato, contenenti screenshot nei quali i membri dello staff di Biden – e non solo – si possono leggere le richieste inviate alla piattaforma di rimozione di determinati contenuti. “Questa è una battaglia per il futuro della civiltà”, ha twittato Musk prima della pubblicazione dei file. “Se la libertà di parola è persa anche in America, la tirannia è tutto ciò che ci aspetta.”

Il caso Hunter Biden

Lo scorso agosto era stato il Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, a svelare un altro tassello della vicenda: fu l’Fbi, nel 2020, a chiedere alle piattaforme social di limitare la diffusione della notizia riguardante il laptop di Hunter Biden. Durante la campagna presidenziale del 2020, infatti, le notizie relative al laptop appartenente ad Hunter Biden, figlio dell’attuale inquilino della Casa Bianca, vennero censurate dalle piattaforme social, nonostante la documentazione pubblicata dal New York Post provasse l’esistenza delle e-mail contenute nello stesso portatile. Si trattava non solo di prove che documentavano la vita dissennata e sopra le righe di Hunter Biden, ma soprattutto di documenti che dimostravano il probabile coinvolgimento del padre negli affari del figlio in Paesi come l’Ucraina e la Cina.

Le notizie relative al laptop – abbandonato in un negozio del Delaware – vennero censurate da Big Tech nonostante oggi l’esistenza del portatile venga riconosciuta da tutti, New York Times e Washington Post in testa. Per le piattaforme social si trattava di “disinformazione russa” e chiunque tentasse di postare e condividere l’inchiesta del New York Post veniva oscurato o censurato, soprattutto su Twitter. Un’intromissione gravissima nel dibattito politico statunitense. Successivamente, sia il New York Times che la Cnn sono stati costretti ad ammettere che il laptop esisteva davvero e non era un’invenzione. Nel frattempo, il figlio del presidente si prepara ad affrontare la giustizia: com’è emerso lo scorso ottobre, gli agenti federali che stanno indagando su di lui ritengono di aver accumulato prove sufficienti per accusarlo di reati legati al fisco e falsa dichiarazione in merito all’acquisto di una pistola.