“Vediamo ragionevolmente una minaccia dall’Ucraina non solo per i cittadini russi che si trovano nel Donbass ucraino, ma anche per i territori russi adiacenti all’Ucraina. Questa minaccia deriva chiaramente non solo dalle dichiarazioni dirette dei rappresentanti della leadership ucraina e degli ideologi ucraini, ma dal tipo stesso di militarizzazione ucraina basata su meccanismi di aggressione specificamente nazisti. Allo stesso tempo, il modo fascista di attuare una vera e propria dittatura (potere non regolato da leggi e costituzione) viene utilizzato in Ucraina per mobilitare la popolazione non solo allo scopo di realizzare trasformazioni interne (soppressione della lingua russa, promozione del nazionalismo, quadri al potere, gravando il paese di debiti con l’estero, vendendo terreni e così via), ma anche per un’esternalizzazione su larga scala dell’aggressione”. Queste frasi sono di Timofey Sergeytsev, assurto agli onori delle cronache recentemente per un lungo editoriale comparso nella giornata del 4 aprile su Ria Novosti, media di Stato russo, in cui l’autore descrive quello che dovrebbe essere il processo di “denazificazione” dell’Ucraina dopo la vittoria militare russa.
Sergeytsev afferma nel recente articolo, sintetizzando all’estremo, che occorre una “pulizia totale” della società ucraina, eliminando alla radice ogni elemento nazionalista ucraino, compresa la stessa nozione di “Ucraina” come entità distinta dalla Russia. Agli ucraini serve una rieducazione ideologica da mettere in atto attraverso la repressione in tutti gli ambiti: politici, culturali, scolastici. L’autore scrive che “in questo senso, un paese denazificato non può essere sovrano. Lo stato denazizzante – la Russia – non può procedere da un approccio liberale riguardo alla denazificazione”. L’Ucraina – e gli ucraini – quindi, deve cessare di esistere.
Le frasi che vi abbiamo riportato in apertura, però, non sono state scritte da Sergeytsev il 4 aprile, bensì a maggio del 2021. In un primo, lunghissimo articolo, l’autore di quello che a tutti è parso un delirio di propaganda, preannunciava già che l’Ucraina avesse bisogno di, citiamo, “l’eliminazione dei vertici della sua leadership, ma anche l’eliminazione degli stessi nazisti dall’influenza e dal coinvolgimento nell’ideologia e nella pratica naziste”. Veniva anche per la prima volta detto che Kiev “ha prestato giuramento nazista di massa attraverso l’apparentemente benevolo avvicinamento politico all’Europa, nel cui contesto, tuttavia, l'”europeismo” è considerato inequivocabilmente non solo dagli ideologi, ma anche da un parte significativa della popolazione un segno di superiorità razziale”.
Quell’articolo di ormai un anno fa proseguiva con considerazioni sull’intero popolo ucraino, da non considerarsi più ostaggio della leadership di Kiev ma complice, sul “carattere fascista” dell’organizzazione sociale ucraina, sulle pratiche naziste e antisemite effettuate nel Paese e sull’indottrinamento nazista effettuato nei programmi di istruzione nazionali, definito “in alcun modo inferiore alla dottrina razziale di Gobineau-Rosenberg-Hitler, che ipotizzava il genocidio non solo degli ebrei e degli zingari, ma anche dei russi e degli altri popoli slavi”.
Sergeytsev invocava già allora l’intervento armato, e del resto tra marzo e aprile dell’anno scorso abbiamo assistito alla prima vera escalation militare russa con decine di migliaia di truppe spostate ai confini con l’Ucraina. In particolare l’autore scriveva che la possibilità di una guerra era “un intenzione che la dirigenza russa prende sul serio, soprattutto vista la persistente mobilitazione, il lavoro organizzativo e tecnico-militare del regime ucraino per elevare il potenziale militare”. Si rilegge qui quello che è stato uno dei leitmotiv di questa invasione, ovvero quello della “guerra preventiva” russa perché, secondo il Cremlino, Kiev aveva in preparazione un’azione militare nel Donbass occupato.
Ma Sergeytsev non si ferma al presente, e con un salto mortale ideologico vetero-comunista riesce ad affermare che “la denazificazione dei satelliti tedeschi – Cecoslovacchia (soggetta all’assorbimento da parte del Reich), Ungheria, Romania, Bulgaria (inclusa la Polonia, che prevedeva di partecipare alla campagna contro l’URSS e prese parte alla divisione della Cecoslovacchia) – non fu praticamente realizzata” perché “questi Paesi e popoli sono stati da noi addotti come vittime ed esentati dalla denazificazione sistemica a condizione di accettare il modello socialista di sviluppo e di aderire al blocco militare con l’URSS” fattore che, secondo l’autore “portò alle rivolte essenzialmente fasciste dell’Ungheria e della Cecoslovacchia nel 1956 e nel 1968, presentate dall’Occidente come un desiderio di democrazia”.
Siamo sicuri che anche oggi, a distanza di decenni da quei fatti, potremmo trovare anche qui, in Occidente, qualcuno che la pensa allo stesso modo tra i sostenitori dell’ideologia comunista ancora rimasti, ma quello che colpisce in questa “analisi” è l’affermazione della necessità di colpire profondamente la popolazione che non è più ritenuta “vittima” dei suoi leader, bensì complice e come tale va trattata.
Pertanto, prosegue Sergeytsev, “la Russia, in quanto Paese e popolo che ha subito l’aggressione nazista, può effettuare la denazificazione dell’Ucraina nell’ambito della propria giurisdizione militare, senza ricorrere alle istituzioni della giustizia internazionale” perché, scrive ancora “il nazismo ucraino non si basa solo sui principi del nazismo tedesco, ma ne è eredità e ha proclamato apertamente la sua continuità con esso”. Per questo Sergeytsev afferma che “dato il coinvolgimento della popolazione nell’aggressione (la vera colpa del popolo), in questo caso, il regime di occupazione correttiva in relazione all’Ucraina non dovrebbe in alcun modo ingraziarsi la popolazione, compreso evitare il ricorso alla retorica del “popolo fratello””.
- L’escalation per il Donbass del 2021
- L’editoriale “estremo” di Ria Novosti
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Capiamo bene come la propaganda di Mosca stesse preparando l’attuale operazione militare da tempo, seminando il terreno dell’opinione pubblica interna con la necessità della denazificazione, adducendo motivazioni pseudostoriche e distorsioni di comportamenti antidemocratici che ci sono stati in Ucraina, come la chiusura di media russofili e il tentativo di eliminare la lingua russa dalla società ucraina, pur sempre, va detto, come effetto dell’occupazione del Donbass e della Crimea avvenuta nel 2014.
Timofey Sergeytsev, nei mesi successivi, è anche andato oltre alla questione ucraina, passando a un livello internazionale: a inizio febbraio di quest’anno scriveva che “il crollo del sistema politico negli Stati Uniti ha portato la leadership USA alla necessità di un’escalation della situazione nell’Europa orientale”. Tuttavia, allora, l’autore affermava, per allinearsi alla propaganda del Cremlino che andava affermando l’impossibilità di un’invasione in Ucraina, che Kiev e Mosca “non hanno bisogno di una guerra”, vista più come necessaria per Washington a causa della sua instabilità interna quando afferma che “gli Stati Uniti sono in una situazione nervosa, il che significa che proprio nel processo di collasso del sistema politico statunitense, sembra che sia stata raggiunta una sorta di stato critico”.
Ma chi è davvero Timofey Sergeytsev? Timofei Nikolaevich Sergeitsev (nato nel 1963 in Ucraina) è uno stratega politico russo, rappresentante del movimento metodologico. Sergeytsev rappresenta la tradizione dell'”approccio all’attività” nel pensiero russo, proposto nella prima metà degli anni ’50 da Alexander Zinoviev (1922-2006) e sviluppato da Georgy Shchedrovitsky (1929-1994) e dal Circolo metodologico di Mosca.
Nel 1980 è entrato all’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca presso la Facoltà di Fisica Generale e Applicata. Nel 1981 collabora con Georgy Shchedrovitsky, che considera il suo insegnante. Nel periodo 1988-1992 è organizzatore e capo del Laboratorio di Metodologia di Gestione presso lo stabilimento RAF (Jelgava, Lettonia) e nel 1991, aiuta Valery Galchenko (del partito Russia Unita) nelle elezioni a governatore della regione di Mosca. Nel 1996 ha vinto la campagna elettorale per il sindaco di Novorossijsk, poi ha guidato le campagne elettorali a Ussurijsk e Nakhodka. Nel settembre 2004 è consigliere di Viktor Yanukovich durante le elezioni presidenziali in Ucraina e nel 2009 è uno dei leader della campagna elettorale di Arseniy Yatsenyuk (del partito Batkivshchyna di Yulia Tymoshenko), sempre per le presidenziali ucraine.
Collabora con i tecnologi politici russi Dmitry Kulikov e Iskander Valitov, in relazione ai quali agisce come senior partner. Tra il 1998 e il 2000 Timofey Sergeytsev è stato anche consigliere per progetti mediatici e commerciali di Viktor Pinchuk (oligarca ucraino proprietario del canale ICTV e del gruppo Interpipe, in cui è stato membro del consiglio di amministrazione), dove ha implementato il progetto Street Television nella campagna presidenziale del 1999.
Il suo collegamento, indiretto, con il Cremlino passa proprio attraverso la collaborazione con Dmitry Kulikov, politologo, pubblicista e consulente politico nonché nominato tra i consiglieri del Comitato della Duma di Stato della Federazione Russa per gli affari della CSI e le relazioni con i connazionali oltre che produttore cinematografico, conduttore televisivo e radiofonico. Kulikov e Sergeystev fanno parte del Club Zinoviev dell’agenzia stampa Russia Oggi e soprattutto hanno collaborato durante le campagne elettorali del 1999 e 2004 in Ucraina e del 2010 in Russia (a sostegno di Mikhail Prokhorov del partito di centrodestra “Giusta Causa”). Kulikov fa anche parte del Consiglio pubblico del Ministero della Difesa della Federazione Russa, un organo creato nel 2006 con il compito di tener conto il più possibile degli interessi della società nella formazione e nell’attuazione della politica statale nel campo della difesa, e per esercitare un vero controllo civile sull’esercito e rilanciarne il prestigio. La composizione del Consiglio deve essere approvata dal Ministro della Difesa su proposta del Segretario di Stato – Vice Ministro della Difesa, insieme al Capo dell’Ufficio del Ministro.
Il curriculum vitae di Sergeytsev ci fa capire come l’uomo, più che essere la voce ufficiale del Cremlino solo per il fatto di scrivere su Ria Novosti, sia in realtà uno strumento della sua propaganda che ancora oggi deve ribadire sul fronte interno la necessità della guerra in Ucraina per “denazificarla”, anche esacerbando i toni come avvenuto nei lunghi editoriali comparsi sul media di Stato russo a maggio dell’anno scorso e nella giornata di lunedì 4 aprile: ora Mosca, che lentamente sta già cambiando la narrazione sul conflitto allentando leggermente le catene della censura, deve forzatamente giustificare davanti agli occhi dell’opinione pubblica l’elevato numero di soldati morti ma soprattutto i racconti dei feriti, numericamente molto più superiori, che potrebbero potenzialmente generare uno shock culturale interno e far vacillare il consenso verso la presidenza.