“La Russia di Putin è una pompa di benzina in bancarotta gestita da una mafia”. Ad affermarlo, sulle colonne del Wall Street Journal, è il dissidente russo e campione di scacchi, Garry Kasparov. Dichiarazioni forti anche se, come ricorda Luciano Capone su Il Foglio, in realtà, la definizione della Russia come di una “gas station” non è nuova. Il primo a evocare questa immagine fu il senatore repubblicano dell’Arizona John McCain nel 2014 quando, a proposito dell’inizio della crisi in Ucraina, disse al Senato: “Non ho illusioni o preoccupazioni per il futuro a lungo termine della Russia. La Russia ora è una pompa di benzina mascherata da Paese”. Già all’epoca, il senatore neocon, sosteneva l’adozione di sanzioni più dure nei confronti della Federazione russa e il suo isolamento a livello internazionale.

Quando McCain chiedeva di sanzionare e isolare la Russia

In un articolo pubblicato sul New York Timesa seguito del colpo di stato di Euromaidan e della guerra nel Donbass, McCain, criticando l’ex presidente Barack Obama, affermava che gli Stati Uniti devono “lavorare con i nostri alleati per sostenere l’Ucraina, rassicurare gli amici nell’Europa orientale e negli Stati baltici, mostrare a Putin un fronte forte e unito e impedire che la crisi peggiori”. Questo, sottolineava, “non significa un’azione militare contro la Russia. Ma dovrebbe significare sanzionare i funzionari russi, isolare la Russia a livello internazionale e aumentare la presenza militare e le esercitazioni della Nato sulla sua frontiera orientale”. Il senatore, nemico giurato di Donald Trump, spiegava che “dobbiamo fare tutto il possibile per dimostrare che la marea della storia è con l’Ucraina, che i valori politici dell’Occidente, e non quelli di una cleptocrazia imperiale, sono la speranza di tutte le nazioni”. Come osserva Il Foglio, tuttavia, nel 2015 la Russia entrò in recessione per il crollo del prezzo del petrolio: ora il prezzo del greggio è ai massimi storici e questo assicura a Putin un flusso consistente di valuta forte, tale da far sopportare le sanzioni. Adottare sanzioni più dure avrebbe costretto il presidente russo a rivedere la sua strategia?


Chi era John McCain

Non è un segreto che John McCain, morto per un male incurabile nel 2018, un tempo convinto “realista”, si sia convertito al neoconservatorismo negli anni’90 e all’interventismo militare nel nome della leadership statunitense e dell’egemonia liberale. O meglio, furono i neocon come Paul Wolfowitz ad avvicinarsi a McCain negli anni ’90, quando sostennero l’intervento americano nei Balcani. Proprio nel 1999, McCain tenne un discorso alla Kansas State University in cui parlò del ” conservatorismo della grandezza nazionale”, sostenendo: “Gli Stati Uniti sono la nazione indispensabile perché abbiamo dimostrato di essere la più grande forza di bene nella storia umana”. Sostenne inoltre che gli Stati Uniti avrebbero dovuto avere “tutte le intenzioni di continuare a usare il nostro primato negli affari mondiali a beneficio dell’umanità”. Era il Destino Manifesto. Da allora, McCain è diventato il più importante sostenitore dell’interventismo a stelle strisce, dall’Iraq alla Libia, passando per la Georgia. Nel 2008, infatti, quando Putin attaccò il Paese dove nacque Joseph Stalin, il senatore McCain, allora candidato alle elezioni presidenziali contro Barack Obama, affermò che il ritardo della Nato nell’accettare la Georgia nell’alleanza incoraggiò la Russia a perseguire un’azione militare contro il suo vicino.

Il sostegno (armato) all’Ucraina

I Paesi ex sovietici e l’Ucraina, in particolare, sono sempre stati un pallino del senatore neocon. Nel gennaio 2017, Lindsey Graham, John McCain e la senatrice Amy Klobuchar, democratica del Minnesota, viaggiarono in tutta l’ex Unione Sovietica nel tentativo di rassicurare gli alleati degli Stati Uniti, in particolare i Paesi baltici e l’Ucraina, che il Congresso Usa era impegnato a favore della Nato e a proteggere i membri dell’alleanza transatlantica dalla Federazione Russa. “Ammiro il fatto che combatterete per la vostra patria”, disse Graham alla 36a brigata marina ucraina nella città di Shyrokyne, a circa quattro chilometri dalla linea di contatto, secondo un video diffuso dalla presidenza ucraina. Presente anche l’ex presidente, Petro Poroshenko. Emblematiche, in quell’occasione, le parole di McCain. “Credo che vincerete. Sono convinto che vincerete e faremo tutto il possibile per fornirvi ciò di cui avete bisogno per vincere. Vi ringrazio, il mondo sta guardando perché non possiamo permettere a Vladimir Putin di avere successo qui perché se ci riesce qui, avrà successo in altri Paesi”.

La pressione di McCain e Graham sull’amministrazione americana qualche risultato l’ha però dato. Come riporta un’inchiesta di The Intercept, durante i suoi due mandati, l’amministrazione Obama si è dimostrata restia a fornire a Kiev armi letali, con il timore che tale mossa avrebbe provocato il presidente russo, Vladimir Putin. Anche dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014, il presidente Barack Obama ha mantenuto questa posizione, sebbene la sua amministrazione abbia fornito all’Ucraina una serie di altri servizi militari e di intelligence non letali, compreso l’addestramento. Quella posizione è cambiata sotto il presidente Donald Trump, quando Washington ha iniziato a destinare a Kiev un flusso relativamente modesto di spedizioni di armi. Supporto che è costantemente aumentato fino all’entrata in carica di Joe Biden, che ha subito avviato un deciso aumento della spesa militare destinata a Kiev. Chissà cosa penserebbe il defunto senatore John McCain. Molto probabilmente consiglierebbe all’amministrazione Biden di mostrare il pugno duro con la Russia, con conseguenze difficilmente prevedibili.

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