Un endorsement di peso piomba su Mario Draghi e sul suo governo, quello del Financial Times. Il quotidiano della City di Londra, che non parla mai a caso quando deve promuovere una presa di posizione riguardo un’agenda politica, ha infatti elogiato il premier italiano per i risultati conseguiti nei primi sei mesi di governo.
La firma prestigiosa di Ben Hall, uno dei maggiori commentatori del Ft, segnala le motivazioni che rendono agli occhi del quotidiano londinese vittoriosa, fino ad ora, l’agenda Draghi: la campagna vaccinale affidata al generale Figliuolo; la messa in campo di un Piano nazionale di ripresa e resilienza per il Recovery Fund ben strutturato e impostato alla crescita; la ripresa economica sorprendente e trainata dalla fiducia di consumatori e imprese; la riforma della giustizia impostata da Marta Cartabia, ritenuta il viatico per una serie di nuove norme volte ad aprire gradualmente il Paese alla concorrenza e alla competitività. Insomma, a detta di Hall Draghi ha fatto sì che “l’Italia trasmettesse ottimismo e fiducia” al resto dell’Unione Europea, cambiandone “le prospettive per la ripresa” mano a mano che la pandemia di Covid-19 viene contenuta.
Con un parallelismo immediato con le vittorie calcistiche e olimpiche degli atleti italiani, Hall definisce quella dell’era Draghi “l’estate dei successi italiani”, culminati a sua detta nella capacità di Palazzo Chigi di fare del Paese nuovamente un attore dinamico in Europa. Il sostegno aperto del Ft a Draghi apre a diverse considerazioni e analisi.
In primo luogo, si segnala indubbiamente una discontinuità politica nella percezione del Paese all’estero rispetto all’era Conte. Piaccia o no, la human diplomacy e la human intelligence sono fattori sempre più decisivi nell’era della globalizzazione e la presenza di un leader come Draghi è difficilmente ignorabile. Aggiungiamo noi che solo un governo di unità nazionale guidato da una figura come Draghi poteva, sostanzialmente, operare un rilancio del ruolo dello Stato nei processi decisionali, come definito durante i processi delle nomine alle partecipate e all’intelligence che hanno rimesso le prassi istituzionali al centro. La proiezione economica e quella securitaria sono due volani fondamentali per la proiezione dell’interesse nazionale e dell’immagine del Paese che vanno presidiati con le figure giuste.
In secondo luogo, l’ultimo semestre ha permesso all’Italia di sfatare definitivamente diversi dogmi e pregiudizi che la grande stampa internazionale ha costruito nei suoi confronti. Dal problema del debito pubblico a quello dell’instabilità politica gli ultimi anni hanno dimostrato che definire questi temi come intrinsecamente legati all’ethos italiano è fuorviante. Anzi, nell’Europa del Covid si fa deficit a cascata e i governi si trovano di fronte a una nuova crisi di legittimazione che, mese dopo mese, ha riguardato gli esecutivi di Boris Johnson in Regno Unito, Angela Merkel in Germania, Emmanuel Macron in Francia, ponendo in essere forti dubbi circa il futuro del potere a Parigi e Berlino. Non è l’Italia, dunque, il problema, ma il fatto che nell’era della crisi della politica anche la solidità di un sistema e la presenza di forme di governo che permettono a un leader di mantenersi saldo al potere non sono garanzia di stabilità istituzionale. E il fatto che sia Roma il Paese in controtendenza, in questo complesso 2021, spicca perché mostra la sterilità di dogmi relativi esclusivamente al nostro Paese.
In terzo luogo il Ft anticipa la consapevolezza che i mesi e gli anni che verranno saranno di profonda importanza per l’Europa e potrebbero portare a un riassetto dei poteri nel Vecchio Continente. Con la Merkel prossima a passare il testimone e Macron in piena confusione, è logico pensare che Draghi possa essere un punto di riferimento fondamentale per i leader europei e dettare la linea verso le riforme che servono all’Unione, prima fra tutte la rottura della gabbia del rigore tenacemente difesa dai falchi. Non a caso Hall sottolinea che dopo aver reso l’Italia “un polo di stabilità” Draghi vede la principale incertezza sul suo futuro legata alle dinamiche del suo mandato, segnalando che una sua permanenza a Palazzo Chigi fino al 2023 aiuterebbe nella battaglia contro le regole del rigore in Europa.
Queste dinamiche segnalano che attorno all’Italia c’è fermento e attenzione. L’agenda Draghi, lungi dall’essersi rivelata meramente tecnica, cela un disegno politico preciso volto a ammortizzare le tensioni interne al Paese nel nome della gestione dell’emergenza e delle sue conseguenze, ma non solo: si intende promuovere una ricostruzione economica che dia nuovi fondamenti strutturali all’economia e alla competitività del sistema-Paese e rilanci il posizionamento di Roma in campo euro-atlantico.
Chiaramente, dietro l’assist del Ft si legge l’attenzione che finanzieri e investitori internazionali ripongono verso il nostro Paese. Attenzione che, va detto, non era venuta meno nemmeno nell’ora più buia della pandemia, quando colossi come BlackRock e Goldman Sachs sostennero di fatto l’indebitamento italiano coprendo parte delle loro emissioni, e che si somma al recente plauso all’Italia contenuto nel rapporto economico del Dipartimento di Stato Usa.
Le sfide future per Draghi saranno però tali da chiamarlo a consolidare questa reputazione con nuovi risultati concreti. La ripresa, stimata vicina al +6% per quest’anno, va consolidata e messa al riparo dai colli di bottiglia dell’aumento dei costi delle materie prime e della carenza di lavoro; il Pnrr, impostato a monte, va condotto in porto a valle; bisogna promuovere strategie nazionali nel campo della transizione ecologica e della rivoluzione digitale; il nodo delle imprese in crisi va risolto e restano quasi un centinaio di crisi industriali aperte, con il nodo Ilva che si fa sempre più strategico; quello di Monte dei Paschi rischia di essere un terremoto finanziario e politico; nel Paese va risolta il problema della povertà, cresciuta nell’anno del Covid, e delle disuguaglianze; sul fronte internazionale, il Mediterraneo resta un limes caldo per Roma e fonte di importanti minacce geopolitiche e strategiche. Insomma, l’appoggio del Ft non deve far sedere il governo sugli allori: il grosso del percorso resta ancora da compiere. E per superarlo servirà consolidare un progetto nazionale che sino ad ora sta avendo nel consolidamento del morale dell’Italia, prima ancora che della sua reputazione o dei suoi indicatori economici, il punto di forza