La linea dell’equidistanza diplomatica e della neutralità militare inaugurata dalla Serbia nel dopo-Milosevic sembra giunta al termine: fortemente ridimensionato a livello geografico e vittima di una sindrome dell’accerchiamento prussiana, giustificata dall’espansionismo Nato nella penisola, il paese ha dapprima preferito l’adesione all’area di libero scambio dell’Unione Economica Eurasiatica all’Unione Europea e, a fine ottobre, ha ospitato “Scudo slavo 2019“, un’esercitazione militare congiunta con la Russia che ha destato forti preoccupazioni a Washington e Bruxelles.
Nel corso dell’esercitazione, infatti, sono stati dispiegati i sistemi antimissile S400 e Pantsir S1 – per la prima volta operativi, insieme, nel paese – per preparare i militari serbi ad affrontare, riconoscere e neutralizzare minacce in rapido movimento. I timori occidentali si sono rivelati fondati: l’esercitazione ha avuto luogo per mostrare ai colleghi serbi le capacità distruttive del sistema S400 in azione, perché il prossimo passo potrebbe essere il suo acquisto.
L’interesse serbo per il sistema S400
In seguito alla perdita ufficiale del Kosovo, che nel 2008 ha dichiarato la propria indipendenza ed è, da allora, un protettorato formale occidentale, la Serbia ha riorientato gradualmente le proprie priorità strategiche, mettendo in secondo piano la politica del buon vicinato con l’Unione Europea in favore del riavvicinamento con la Russia, l’alleato di lunga data.
Il partenariato con la Russia è particolarmente rilevante dal punto di vista degli affari militari: la Serbia sta modernizzando e potenziando il proprio arsenale datato all’epoca sovietica, rivolgendosi soprattutto al mercato russo. Nell’ambito di questa nuova corsa agli armamenti, il paese ha acquistato a prezzi politici blindati, elicotteri, caccia MiG-29, il sistema missilistico antiaereo Pantsir S1, e sta delegando l’addestramento degli alti gradi militari ad esperti russi.
Tutto questo sta avvenendo sullo sfondo di una collaborazione sempre più intensa nei campi diplomatico, energetico ed economico e fra i servizi segreti dei due paesi, impegnati a difendere interessi comuni in “operazioni complesse“.
Nel corso dell’esercitazione Scudo slavo, il presidente Aleksandr Vucic ha dichiarato che il paese aveva ultimato le procedure d’acquisto per il sistema Pantsir S1, le cui prime divisioni inizieranno ad essere spedite nei prossimi mesi, e che esiste un interesse nei riguardi del S400. Quest’ultimo ha contribuito a rilanciare l’immagine della Russia quale produttore di armi di alta qualità e sta causando discordia all’interno della stessa comunità euroatlantica per via della controversa decisione turca di dotarsene, e potrebbe fungere da game-changer nelle mani di Belgrado, riscrivendo completamente l’equilibrio di potere nell’instabile regione a detrimento della Nato.
Il sistema S400 possiede un campo d’azione molto esteso – fino a 400 chilometri – poiché pensato per la difesa di medio e lungo raggio, pertanto il suo dispiegamento proteggerebbe la Serbia da eventuali attacchi lanciati da basi Nato nella penisola, assicurando al paese “che nessuno sfidi la sovranità dei suoi cieli” – secondo le parole di Vucic.
L’acquisto del sistema resta improbabile nel breve periodo, per via del bilancio limitato a disposizione, ma l’elevata attenzione mediatica e popolare suscitata dal suo dispiegamento nel corso dell’esercitazione è emblematica delle future intenzioni della classe politica serba in proposito e del posizionamento ideologico di una fetta importante dell’opinione pubblica, che continua a preferire rapporti privilegiati con il mondo russo rispetto al percorso d’integrazione nell’Ue.
Ma per aggirare i limiti del bilancio esiste un modo: accendere un prestito. Secondo il quotidiano serbo Vecherne Novosti, il governo starebbe valutando l’acquisto del sistema ricorrendo ad un prestito di lungo periodo e nei prossimi mesi potrebbe proporre l’idea in maniera ufficiale a Mosca. L’indiscrezione del giornale confermerebbe i timori dell’Occidente: l’esercitazione ambiva a stupire i serbi, e ha funzionato. Ma l’ultima parola spetta comunque al Cremlino, perché esiste il rischio concreto che il dispiegamento permanente del S400 nel paese-chiave dei Balcani possa rivelarsi controproducente, se non esiziale, scatenando gli effetti perversi del dilemma della sicurezza, ossia spingendo i paesi vicini ad una simile corsa agli armamenti e legittimando la Nato ad un’ulteriore rafforzamento della propria presenza nell’area.