La guerra in Ucraina è una guerra in Europa. Molto spesso gli osservatori tendono a dare l’immagine di un conflitto “alle porte” del continente. Ma questa lettura appare incompleta per un semplice motivo: geograficamente, storicamente e culturalmente Ucraina e Russia occidentale sono Europa, ne fanno parte e ne stanno decidendo il destino e le nuove linee strategiche. La guerra, iniziata con l’annuncio di Vladimir Putin dell’avvio della “operazione militare speciale” sta modificando il quadro politico continentale e accelerando fenomeni geopolitici che apparivano stabilizzati o in lenta realizzazione. Con degli effetti che appaiono estremamente gravi per il presente e per il futuro di tutto il Vecchio Continente.

Dal punto di vista generale, questo conflitto ha avuto un primo grande effetto sui rapporti tra Nato ed Europa sancendo il controllo del “dossier ucraino” da parte del blocco atlantico. L’Alleanza, nata nella Guerra Fredda proprio per contrastare l’Unione Sovietica, ha ritrovato linfa vitale nel momento in cui si è acceso lo scontro tra Russia e Ucraina, cosa che ha condotto la Nato a serrare i ranghi per contrastare le scelte del Cremlino. Dopo anni di crisi dell’alleanza, con Emmanuel Macron che aveva addirittura parlato di “morte cerebrale” e con la disastrosa immagine del ritiro dall’Afghanistan, il sistema euro-atlantico non si è fatto trovare impreparato, a livello politico prima ancora che militare, rispetto alla sfida lanciata dalla Russia. Bruxelles, in questo perfettamente aderente alle decisioni di Washington, ha saputo ritagliarsi uno spazio sempre più ampio sia nella gestione del conflitto sia nelle scelte dei singoli Stati membri. E questo ha fatto sì che dopo due mesi di guerra oggi sia la Nato a rappresentare l’Europa nel tema della difesa e delle scelte strategiche, a volte molto più dell’Unione europea. Come confermato del resto anche dal desiderio mostrato da Finlandia e Svezia di entrare nella Nato nonostante la loro tradizionale neutralità e la presenza all’interno dei Paesi dell’Unione europea.

Il rafforzamento della Nato, specialmente nella sua immagine di contenitore delle istanze di tutto il blocco occidentale, può essere letto sotto diversi punti di vista. Per quanto riguarda l’Unione europea, essa è certamente risultata meno decisiva nel panorama continentale rispetto ai vertici politico-militari dell’Alleanza. La special relationship tra Regno Unito e Stati Uniti è apparsa decisamente più capace di incidere sul conflitto rispetto all’asse franco-tedesco, che dell’Ue è il motore diplomatico ed economico. E in una fase di completamento della Brexit, la capacità di Londra di intestarsi la battaglia al fianco di Kiev insieme a Washington ha in qualche modo dato anche uno schiaffo morale a una Europa che cercava una sua dimensione proprio in assenza della “spina nel fianco” britannica.

Questo elemento può apparire secondario rispetto ad altri temi di natura strategica, tuttavia non va sottovalutato il fatto che dopo due mesi di guerra sia ormai chiaro che il vento atlantista abbia avuto un impatto molto netto sulle sorti del continente, riducendo in parte lo spazio del sentimento europeista. Un problema che il presidente francese Macron ha fatto intendere più volte, ribadendo invece l’importanza che l’Europa dovrebbe assumere come soggetto politico per incidere non solo sul presente ma anche sulla pace in Ucraina e sul futuro del continente.

Parallelo all’indebolimento dell’Unione europea nel processo decisionale e in particolare dell’asse franco-tedesco è poi l’effetto che questa guerra ha avuto sul ruolo della Germania. Berlino, potenza equilibrista tra Occidente e Russia, centro di un’Europa che voleva a trazione tedesca soprattutto nella sua apertura verso est, si è ritrovata da sola di fronte a un blocco Nato ed europeo sempre più incline ad assecondare le scelte statunitensi e atlantiche. Olaf Scholz, che aveva ereditato il difficile ruolo da Angela Merkel, aveva inizialmente scelto di prendersi il il dossier russo (prima della guerra) per rimarcare la linea di continuità tra la Ostpolitik merkeliana e il nuovo governo. Il conflitto invece ha costrutto la Germania a riposizionarsi per evitare la frattura con Washington, al punto che la prima vera vittima sacrificale politica della guerra è stata il gasdotto Nord Stream 2, pilastro dell’agenda russo-tedesca e bloccato proprio per le pressioni del mondo atlantista. La conferma di questa difficile condizione tedesca è arrivata in questi giorni anche dalla discussione sulle sanzioni e sull’invio di armi pesanti, in cui specialmente l’industria germanica si è dimostrata molto riluttante a dover pagare il prezzo delle scelte anti-Putin. La prudenza tedesca resta, ma nel frattempo, lo stesso Scholz si è reso conto dell’indebolimento sistemico della Germania soprattutto sotto il profilo militare: motivo per cui Berlino ha deciso un programma di riarmo che rappresenta una vera rivoluzione nel panorama strategico europeo.

Altro capitolo degli effetti sull’Europa del conflitto ucraino è il ruolo dei Paesi orientali. Per diversi anni, l’Ue ha conosciuto il blocco orientale come il cosiddetto “gruppo di Visegrad”, un sistema a quattro composto da Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia e che consisteva nel muro euroscettico all’interno dell’Ue. Adesso, con l’avversione alla Russia quale parametro di riferimento per le nuove politiche europee, quel muro critico all’interno dell’Unione ha cambiato volto. L’Ungheria di Viktor Orban è apparsa molto meno intransigente rispetto ad esempio alla Polonia o alla Slovacchia, e nel frattempo, altri Paesi dell’Europa orientale, in particolare i baltici e la Romania, hanno accelerato un riavvicinamento che ha costruito una nuova piattaforma politica. Il blocco dell’Europa orientale, almeno in questo momento, non è più dunque quello euro-critico, ma quello “russofobo”, con l’effetto di avere cristallizzato la sinergia tra i Paesi di frontiera con la Russia e Usa e Gran Bretagna.

Gli effetti politici devono poi unirsi a quelli economici. Le sanzioni decise o minacciate in sede europea hanno sensibilmente cambiato la percezione di stabilità e di crescita dell’Ue timidamente sorte dopo la crisi dovuta al Covid-19. E se l’abbassamento delle stime di crescita è un problema estremamente importante, altrettanto lo è il vero e proprio pilastro di questo enorme nodo economico e strategico: la diversificazione delle fonti energetiche per sganciarsi dalla dipendenza dal Mosca. Uno dei grandi effetti strategici della guerra in Ucraina è la manovra con cui l’Ue e i singoli Paesi membri, in questo seguendo le direttive Usa e atlantiche, hanno dimostrato il desiderio di cercare altri fornitori di gas e di petrolio per evitare di mantenere intatti gli accordi con la Russia, specialmente in caso di embargo o di blocco da parte dello stesso Putin. Il cambiamento è stato palesato non solo dalla questione Nord Stream 2, ma anche dagli accordi siglati ad esempio dall’Italia con diversi Paesi dell’Africa: intese che dovrebbero sancire una netta diminuzione della domanda di gas russo, indebolendo quindi i rapporti economici e strategici con Mosca-

Tutto questo ha dei pro e dei contro a seconda delle chiavi di lettura. È chiaro che la guerra e la netta virata del blocco Nato verso la contrapposizione con Mosca ha sancito un cambiamento radicale di linea di molti segmenti della politica europea e degli Stati Ue, che hanno dovuto in qualche modo confermare la loro appartenenza alla Nato e al blocco occidentale dopo decenni di tentennamenti e di equilibrismi mai graditi a Washington. La guerra scatenata di Putin ha quindi avuto certamente un effetto di chiarimento rispetto ai continui dubbi palesati dagli Stati Uniti sulla fedeltà e sulla affidabilità dei partner europei. Dall’altro lato, tuttavia, c’è un pericolo contraltare legato al fatto che l’Europa (e l’Ue in primis) appare del tutto estranea alla definizione finale del conflitto e della possibile pace. Aderendo in modo totale alla Nato, l’Europa si è di fatto dimostrata non più protagonista, ma attore come altri. E questo ha comportato il rafforzamento dei Paesi membri più intransigenti, che si sono così blindati attraverso l’asse con gli Usa, ma anche un affievolimento del possibile ruolo di mediatore da parte dei Paesi europei. Al punto che dall’inizio della guerra, naufragati i tentativi di dialogo di Macron e Scholz, il ruolo di mediatore lo stanno cercando Turchia e Israele, il primo battitore libero interno alla Nato, il secondo alleato Usa in Medio Oriente e ben distante dai desiderata di Bruxelles.





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