Tra un mese, il 24 giugno prossimo, la Turchia andrà al voto per eleggere il primo presidente che concentrerà nelle sue mani tanto il ruolo di capo dello Stato quanto quello di capo del governo, dopo il successo del fronte favorevole alla riforma costituzionale guidato da Recep Tayyip Erdogan nel referendum dell’aprile 2017.
Il 18 aprile scorso lo stesso Erdogan ha annunciato che il voto, inizialmente previsto per fine 2019, sarebbe stato anticipato al giugno di quest’anno, recependo la volontà della leadership della coalizione dell’Alleanza del Popolo che unisce il Partito Giustizia e Sviluppo (Akp) dell’attuale presidente con il partito ultranazionalista Mhp guidato da Devlet Bahçeli.
Le elezioni arrivano nel pieno della transizione istituzionale che si sovrappone alla costante deriva autoritaria del regime turco che, in crisi di consensi, sta cercando di rafforzare la sua presa sulla base radicata nella parte più “profonda” del Paese rilanciando una politica estera assertiva in nome di uno spiccato nazionalismo etnico. Tuttavia, l’onda lunga avviata dal golpe del luglio 2016 ha fortemente destabilizzato la Turchia, Paese che già nel voto del referendum si è scoperta divisa e polarizzata in larga misura attorno alla persona e alle politiche dello stesso Erdogan.
Questi appare tutt’ora il principale favorito per la conquista della presidenza da lui designata nella riforma istituzionale, ma non bisogna dare nulla per scontato: il leader dell’Akp, che con la visita a Sarajevo punta a catalizzare il sostegno della diaspora turca in Europa, non pare avere possibilità di conquistare il successo al primo turno e sembra destinato a dover affrontare uno scivoloso ballottaggio, per il quale si stanno attrezzando due candidati dell’opposizione decisamente agguerriti.
Muharrem İnce, il professore che rilancia Ataturk contro Erdogan
Il principale sfidante designato del Sultano appare, secondo i rilevamenti, Muharrem İnce, esponente del Partito Popolare Repubblicano (Chp), interprete del pensiero kemalista che fonda le sue radici nella dottrina politica di Mustafa Kemal Ataturk, “padre” della Turchia contemporanea, improntato sul nazionalismo civico, su una forte impronta laica e su una visione economica di natura socialdemocratica.
İnce, 54 anni, è deputato dal 2002 in rappresentanza della sua città natale, Yalova, situata sul Mar di Marmara, in quella Turchia rivierasca e aperta al mondo che si oppone alla centralizzazione imposta da Erdogan. Il Chp lo ha nominato ufficialmente come suo candidato presidenziale lo scorso 3 maggio, dopo un attento lavoro interno che ha portato in sostegno a İnce il leader del partito Kemal Kılıçdaroğlu.
Ex professore di fisica, il candidato del Chp ha guidato lo Società del pensiero ataturkista, che si ripropone di modernizzare il progetto secolarista del fondatore della Repubblica turca e, come riportato da Hurriyet, lanciando la sua campagna elettorale nella sua città natale il 5 maggio scorso ha espresso la sua volontà di essere “il Presidente di tutti” e focalizzare la sua azione sulla resturazione di una democrazia da lui definita “sotto attacco”.
Meral Akşener sfida Erdogan sul campo del nazionalismo
La svolta pro-Erdogan dei nazionalisti del Mhp, avvenuta tra il 2016 e il 2017, ha portato una fazione consistente nel partito a criticare la deriva della formazione principale della destra turca: il 25 ottobre scorso, da una scissione interna è sorto il Partito İyi (letteralmente “Il buon partito”), che da un lato punta a rafforzare il nazionalismo civico in alternativa all’etno-islamismo del governo Erdogan e dall’altro a portare avanti una piattaforma di realpolitik fondata sul recupero dei legami con la Nato e l’Europa.
Grazie al sostegno del Chp, suo alleato nell’anti-erdoganismo, İyi ha potuto formare un gruppo di 15 senatori in Parlamento e poter presentare un proprio candidato per l’imminente voto presidenziale: la figura individuata è stata quella della combattiva Meral Akşener, ex Ministro degli Interni negli Anni Novanta che in un sondaggio del 1 maggio scorso è stata addirittura data come possibile trionfatrice, di stretta misura, in un ballottaggio contro Erdogan.
La Akşener ha impostato la sua agenda su una politica economica imperniata sul progresso industriale della Turchia, sul rafforzamento dell’istruzione e sulla lotta alla disoccupazione, mentre sul piano istituzionale punta dichiaratamente al ripristino dell’ordine costituzionale precedente il referendum del 2017. Il suo punto di forza potrebbe essere la capacità di attrarre consensi in campo nazionalista, data la sua precedente militanza a destra e l’inserimento in campagna elettorale di temi cari al movimento conservatore, come il deciso contrasto al movimento politico-ideologico di Fetullah Gulen, dichiarato “maggiore minaccia interna alla sicurezza nazionale turca”.
La sfida a Erdogan è lanciata: la Akşener e İnce portano avanti agende separate e a tratti distanti, ma il loro obiettivo di fondo è comune: imporre alla Turchia una netta discontinuità dopo la lunga leadership dell’Akp, che ha portato alla completa polarizzazione del Paese. Il Sultano ostenta sicurezza, ma le presidenziali saranno una sfida veramente difficile da superare.