L’interruzione delle relazioni diplomatiche con il Qatar da parte della “coalizione sunnita e wahhabita” composta da Bahrein, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto e Yemen ha creato una nuova spaccatura in un Medio Oriente già dilaniato da diversi conflitti come quello siriano/iracheno, quello in Yemen contro le milizie sciite degli Houthi ma anche nel Sinai dove gruppi islamisti legati all’Isis lanciano attacchi sistematici contro le forze di sicurezza egiziane.Il Qatar è ufficialmente accusato di sostenere gruppi terroristi, in primis i Fratelli Musulmani, già messi al bando tempo addietro in diversi paesi come Arabia Saudita, Egitto, Emirati ma anche Siria e Russia ancor prima.È persino stata emessa una lista di 59 soggetti e 12 enti, tutti ricercati dai suddetti paesi per legami con la Fratellanza e con l’Islamismo radicale.Una mossa immediatamente successiva alla visita del presidente americano Donald Trump in Arabia Saudita che punta in una direzione chiara, isolare il Qatar sia per il suo sostegno ai jihadisti che per la sua vicinanza all’Iran, a detta dei Paesi sanzionatori.Nell’occhio del ciclone anche l’emittente televisiva qatariota al-Jazeera, accusata di incitare i terroristi e i destabilizzatori e oscurata in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti e in Bahrein. Nel contempo emergeva la notizia che il leader spirituale dei Fratelli Musulmani, Yusuf Qaradawi, veniva espulso dalla World Islamic League.Tutto ciò avviene subito dopo la visita del presidente americano Trump in Arabia Saudita. Così, mentre alcuni analisti statunitensi si affrettavano a presentare il Regno dei Saud come nuovo paladino contro il terrorismo, con tanto di Forum per il Contrasto al Terrorismo organizzato a Riyadh, nel frattempo in Iran venivano messi a segno due attentati, uno in Parlamento e un altro al mausoleo di Khomeini. Due target di certo non semplicissimi e che richiedono determinate tempistiche per la messa in atto.Il fatto principale che emerge da questa nuova crisi è evidente: la guerra in Siria è finita, i veri vincitori sono Mosca, l’asse sciita e i curdi. Ne escono invece con le ossa rotte gli Stati Uniti, la Turchia e la “Coalizione anti-Isis” che in cinque anni non è riuscita a ottenere i risultati che la Russia ha ottenuto in pochi mesi. Gli altri sconfitti sono tutti quei Paesi che hanno sostenuto il jihad in Siria (che sia il jihad dell’Isis, dei qaedisti, di Ahrar al Sham ecc.).Sebbene l’Iran abbia duramente contrastato l’avanzata dell’Isis e degli altri gruppi jihadisti in Siria e Iraq, oggi torna ad essere il nemico numero uno di Trump, stravolgendo così le linee del suo predecessore, Obama.L’Arabia Saudita si sente accerchiata, con gli Houthi a sud, l’asse sciita a nord e il Qatar che continua a mantenere rapporti con l’Iran. Un Qatar che andava richiamato all’ordine ma nel contempo sacrificato, perché il fatto che sauditi e qatarioti, così come i turchi prima del fallito golpe, avessero sostenuto i jihadisti in Siria era evidente. A questo punto serviva il capro espiatorio, il “fratello minore” da sacrificare e quale miglior candidato del Qatar?La componente geopolitica è senza dubbio un fattore di primo piano nella crisi, ma non si può certo dire che il terrorismo non c’entri nulla. Affermare una cosa del genere significa essersi persi un pezzo enorme del problema.È indubbio che Doha sia centro nevralgico e base operativa dell’organizzazione islamista radicale dei Fratelli Musulmani ed è da lì che il leader spirituale della Fratellanza, Yusuf Qaradawi, invocava il jihad in Siria contro gli infedeli. È noto e dimostrato che il Qatar abbia sostenuto gruppi jihadisti in Siria e Iraq. È altrettanto provato che il Qatar abbia continuato a sostenere quelle forze islamiste in Egitto che cercano di destabilizzare il Paese da quando il governo Morsi è caduto.Non dimentichiamo però che l’Arabia Saudita da decenni e decenni esporta il wahhabismo in tutto il mondo; teniamo bene a mente che i sauditi per anni hanno ospitato i Fratelli Musulmani nel Regno. Wahhabiti e Fratellanza non sono poi così differenti a livello ideologico, ciò che li differenzia maggiormente sono gli obiettivi e la metodologia strategica per raggiungerli. Alla base troviamo pur sempre i medesimi concetti dottrinari. Per quanto detto e stradetto, ricordiamo che i componenti del commando dell’11 settembre 2001 erano in maggioranza sauditi. Non dimentichiamo che durante i due conflitti ceceni il sostegno ai jihadisti “internazionalisti” proveniva in prevalenza dai paesi wahhabiti, come del resto fu con al-Qaeda in Afghanistan contro i sovietici.In sunto, l’Islamismo radicale senza ombra di dubbio viene diffuso dai Fratelli Musulmani facendo base in Turchia e Qatar, ma anche dal wahhabismo. In un certo senso si potrebbe parlare di una concorrenza a chi ne esporta di più e l’Europa è un target primario per tale piano.Basti pensare all’area balcanica dove da anni vi è un’infiltrazione islamista sia di stampo wahhabita che legato alla Fratellanza. Quest’ultima tendenzialmente punta più ad apparire come moderata e ad intrattenere rapporti con ambienti istituzionali per infiltrarne l’arena socio-politica. Analisti greci mettevano ad esempio in luce numerose iniziative dell’ong turca Ihh nei Balcani, tanto per citarne una. Nel 2016 Mosca accusava la IHH di fornire aiuti anche ai jihadisti siriani, come dichiarato dall’ambasciatore russo all’Onu, Vitaly Churkin.Il filone wahhabita tende invece a utilizzare maggiormente l’invio di fondi per creare madrasse e moschee dove viene predicato il wahhabismo: un esempio eclatante? La moschea wahhabita di Sarajevo che è anche sede diplomatica del Regno, ma anche le numerose moschee periferiche aperte in Albania e Bosnia.Del resto già ai tempi della guerra di Bosnia (1992-1995) mentre Alija Izetbegovic intratteneva rapporti con elementi vicini alla Fratellanza, nel contempo arrivavano nel Paese centinaia di jihadisti arabi del filone wahhabita e salafita che andavano a formare il battaglione el-Mudzahid.L’infiltrazione islamista, che si tratti di quella wahhabita o dei Fratelli Musulmani, mira a gran parte dei paesi europei, Italia inclusa, ma adattando il modus-operandi alle peculiarità sociali, politiche ed economiche di ciascun paese. Per questo non ha molto senso oggi spendere troppo tempo a fare differenza tra l’islamismo radicale esportato dal Qatar o dall’Arabia Saudita. Il filone ideologico è il medesimo ed anche gli obiettivi. Il resto è soltanto una questione di giochi politico-strategici e di interessi economici.
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